Presentazione
LA GUERRA SBSAGLIATA CONTRO LA SOCIETA' MODERNA
La nostra eredità ancestrale è la povertà assoluta di tutte le altre epoche. Per molte migliaia di anni la vita degli esseri umani era stata dura, bestiale e breve. Per esempio, anche nel periodo più splendido della civiltà romana, la lunghezza media della vita era di soli 24 anni. Una povertà abbietta che non era però solo economica, ma che si portava dietro disparità e ingiustizie sociali infinite. Ma con la società moderna tutto è cambiato. Negli ultimi due secoli, con la rivoluzione scientifica e tecnologica, l’economia di mercato e la libertà, le condizioni di vita sono talmente migliorate che la sua lunghezza è triplicata. E la schiavitù è stata quasi dovunque abolita.
Sono i dati dell’ONU a dirci che negli ultimi 50 anni tutti gli indicatori globali dello sviluppo hanno conosciuto uno straordinario miglioramento: reddito, speranza di vita, sopravvivenza alla nascita, accesso a istruzione, cure mediche, acqua potabile, elettricità ecc. Ma il miglioramento più spettacolare è stato quello demografico. Infatti è dalla metà degli anni ’90 che in media mondiale il numero di nuovi nati si è stabilizzato, cioè non aumenta più: un risultato epocale, perché a rendere inevitabile la povertà è proprio la trappola demografica.
Eppure molti sono convinti che la società moderna “capitalista” sia la causa delle ingiustizie sociali e che per questo debba essere combattuta con ogni mezzo. A definirla così è stato Karl Marx. Vissuto a lungo nell’Inghilterra dell’Ottocento che si stava industrializzando, non ha compreso questa epocale trasformazione. Non ha capito le leggi del mercato, che non sono state inventate dai “capitalisti”, ma che regolano gli scambi commerciali da migliaia di anni. Marx, invece di assorbire le idee di Adam Smith e David Ricardo, è stato influenzato dagli intellettuali romantici che esprimevano la contrarietà alla società moderna delle vecchie elite dominanti, che si sentivano escluse da questi cambiamenti.
Marx ha elaborato una propria interpretazione complessa e sofisticata ma più filosofica che economica; una visione suggestiva ma profondamente sbagliata che continua ad confondere molte coscienze ancora oggi.
Così come l’economia di mercato, anche le ingiustizie sociali non nascono nell’800. Per esempio Marx non ha capito che i contadini scappavano dai loro villaggi per farsi assumere nelle nuove fabbriche, nonostante le paghe basse e i lunghi turni di lavoro, perché almeno lì il lavoro aveva un orario, la paga era sicura e anche più alta, e poi perché adesso erano delle persone libere e non dei servi sempre a disposizione di un padrone.
L’ideologia marxista ha ispirato i regimi comunisti, nei quali la libertà e il mercato erano stati aboliti, mentre l’innovazione tecnologica era stata messa al servizio del solo settore militare. Si potrebbe pensare che quando questi regimi totalitari sono falliti l’ideologia che li ha ispirati venisse abbandonata. In realtà qualcosa del genere è avvenuto in moltissimi paesi perché, dopo la fine del maoismo in Cina e del comunismo in Russia, quasi tutto il mondo ha capito quello che doveva fare per sconfiggere la povertà e da allora lo sta facendo, con risultati straordinari. Però paradossalmente l’ideologia marxista si è diffusa in molti paesi ricchi, nonostante che essi siano diventati tali proprio grazie alla società moderna.
I marxisti, invece di registrare il fallimento della loro ideologia, hanno deciso di continuare la guerra contro la società moderna usando come arma i temi ambientali. Per questo sono diventati ambientalisti, perché hanno capito che sfruttando i sentimenti pro ambiente della gente potevano fare gravi danni all’economia. E all’accusa alla società moderna di essere la causa delle ingiustizie sociali, hanno aggiunto quella di essere responsabile anche dei danni all’ambiente. E dato che nella fase di crescita che porta dalla povertà al benessere i danni ci sono davvero, perché aumentano la produzione dei beni materiali e l’impatto ambientale, il loro messaggio è risultato credibile.
Però la produzione dei beni materiali non aumenta all’infinito. Infatti una volta che i mercati di questi beni sono stati saturati, a seconda dei settori la loro produzione si stabilizza, diminuisce oppure crolla, per essere sostituita dai servizi che non sono altro che beni immateriali. Inoltre i servizi soddisfano dei bisogni meno fondamentali che spingono l’economia con meno forza, per cui da quel momento l’economia rallenta. In compenso essi soddisfano dei bisogni più sofisticati che fanno fare alla società un altro salto di qualità. E poi ci sono gli aumenti di efficienza che rendono l’economia ancora più sostenibile. Infatti quello che conta non sono tanto i beni che produciamo e consumiamo, ma le risorse naturali che abbiamo usato per produrli. E se aumenta l’efficienza, diminuisce il consumo di risorse naturali a parità di beni prodotti.
La prova che la società moderna è l’unica sostenibile anche sul piano ambientale è che i paesi più sviluppati sono oggi, quasi da ogni punto di vista, molto più sostenibili di mezzo secolo fa e sostenibili col tempo lo diventano sempre di più. Mentre i paesi emergenti stanno percorrendo la stessa strada di quelli più sviluppati con solo qualche decennio di ritardo. Ben presto anche loro raggiungeranno la saturazione dei mercati dei beni materiali e il loro impatto ambientale comincerà a diminuire. E diminuirà ancora più in fretta perché adesso ci sono le auto elettriche che negli anni ‘70 c’erano.
In definitiva è facile dimostrare che la società moderna, una volta superata la fase di crescita che porta dalla povertà al benessere, è l’unica sostenibile sia sul piano sociale che ambientale. Eppure proprio questo modello di economia e di società è stato messo sotto accusa da un ambientalismo ideologizzato, interessato solo alle accuse e alle denunce e mai alle soluzioni. Un falso ambientalismo che, per non aiutare la società in cui viviamo a risolvere i suoi problemi, ha ostacolato o impedito tutte le tecnologie più utili sviluppate in questi anni, specialmente nel settore strategico dell’energia. Infatti sono state messe sotto accusa “tutte” le fonti di energia affidabili a partire da quella nucleare, che si è preteso di sostituire con la costosa follia delle “energie alternative”. Invece le centrali nucleari sono la soluzione ideale perché possono produrre tutta l’energia di cui abbiamo bisogno in maniera quasi miracolosa, cioè senza bruciare combustibili. E sono anche economiche, affidabili e sicure.
Questa politica energetica basata su dei presupposti ideologici e non sui dati della realtà ha impoverito a tal punto la nostra economia da trasformarci in un paese di serie B. Ma ha fatto danni ancora maggiori nei paesi più poveri del pianeta, ai quali ha imposto una politica che ne impedisce la crescita economica e l’uscita dalla povertà.
Oggi il 15% della popolazione mondiale vive nei paesi più sviluppati, che sono partiti prima perché la società moderna è stata inventata in Europa. Poi c’è un altro 75% che vive in paesi che negli ultimi 50 anni hanno innestato la marcia della crescita e stanno velocemente uscendo dalla povertà. Rimane un 10 % della popolazione mondiale che vive in paesi che non hanno ancora iniziato un percorso di crescita. Oltre ad alcune dittature, oggi l’area di maggiore povertà l’Africa centrale, nella quale il paese più grande è il Congo.
Però proprio in Congo è stato bloccato il progetto Grande Inga, che prevede una serie di dighe per la produzione di energia idroelettrica sufficiente per tutta questa regione. E la gente del posto viene costretta ad usare come unica fonte di energia la legna da ardere con la giustificazione che è “naturale”.
Infatti da anni le massime istituzioni internazionale hanno bloccato gli investimenti nelle infrastrutture dei paesi più poveri, con la pretesa che possano saltare l’industrializzazione per passare direttamente a fonti di energia naturali e sostenibili. Però non è vero che le fonti di energia naturali sono sostenibili perché la legna viene ottenuta tagliando gli alberi della foresta, mentre le energie alternative sono costosissime e quasi del tutto inutili. Ma con questi pretesti viene impedito ai paesi più poveri del mondo di uscire dalla povertà! E questo nonostante che l’energia idroelettrica sia carbon free e che diminuirebbe la pressione sugli ecosistemi naturali. E nonostante che gli investimenti necessari si ripagherebbero da soli con il valore dell’energia elettrica prodotta.
Per risolvere i problemi di oggi, per sconfiggere dovunque la povertà e rendere il mondo più sostenibile, è necessario invece proseguire sulla stessa strada che ha già ottenuto gli straordinari risultati di questi ultimi 50 anni. Per l’Italia questo significa abbandonare la follia delle pale eoliche e puntare nell’immediato sull’autonomia energetica e sull’efficienza. Poi bisogna rilanciare il turismo e i nostri prodotti di qualità sfruttando le grandi possibilità che abbiamo.
Ma non dobbiamo dimenticarci dei paesi più poveri che non hanno ancora iniziato un percorso di crescita. Dobbiamo promuovere il loro sviluppo non solo perché questo è un obiettivo degno di essere perseguito, ma anche perché questa è la condizione per salvare l’ambiente e per assicurare condizioni di pace, di stabilità e di sicurezza.
La nostra eredità ancestrale è la povertà assoluta di tutte le altre epoche. Per molte migliaia di anni la vita degli esseri umani era stata dura, bestiale e breve. Per esempio, anche nel periodo più splendido della civiltà romana, la lunghezza media della vita era di soli 24 anni. Una povertà abbietta che non era però solo economica, ma che si portava dietro disparità e ingiustizie sociali infinite. Ma con la società moderna tutto è cambiato. Negli ultimi due secoli, con la rivoluzione scientifica e tecnologica, l’economia di mercato e la libertà, le condizioni di vita sono talmente migliorate che la sua lunghezza è triplicata. E la schiavitù è stata quasi dovunque abolita.
Sono i dati dell’ONU a dirci che negli ultimi 50 anni tutti gli indicatori globali dello sviluppo hanno conosciuto uno straordinario miglioramento: reddito, speranza di vita, sopravvivenza alla nascita, accesso a istruzione, cure mediche, acqua potabile, elettricità ecc. Ma il miglioramento più spettacolare è stato quello demografico. Infatti è dalla metà degli anni ’90 che in media mondiale il numero di nuovi nati si è stabilizzato, cioè non aumenta più: un risultato epocale, perché a rendere inevitabile la povertà è proprio la trappola demografica.
Eppure molti sono convinti che la società moderna “capitalista” sia la causa delle ingiustizie sociali e che per questo debba essere combattuta con ogni mezzo. A definirla così è stato Karl Marx. Vissuto a lungo nell’Inghilterra dell’Ottocento che si stava industrializzando, non ha compreso questa epocale trasformazione. Non ha capito le leggi del mercato, che non sono state inventate dai “capitalisti”, ma che regolano gli scambi commerciali da migliaia di anni. Marx, invece di assorbire le idee di Adam Smith e David Ricardo, è stato influenzato dagli intellettuali romantici che esprimevano la contrarietà alla società moderna delle vecchie elite dominanti, che si sentivano escluse da questi cambiamenti.
Marx ha elaborato una propria interpretazione complessa e sofisticata ma più filosofica che economica; una visione suggestiva ma profondamente sbagliata che continua ad confondere molte coscienze ancora oggi.
Così come l’economia di mercato, anche le ingiustizie sociali non nascono nell’800. Per esempio Marx non ha capito che i contadini scappavano dai loro villaggi per farsi assumere nelle nuove fabbriche, nonostante le paghe basse e i lunghi turni di lavoro, perché almeno lì il lavoro aveva un orario, la paga era sicura e anche più alta, e poi perché adesso erano delle persone libere e non dei servi sempre a disposizione di un padrone.
L’ideologia marxista ha ispirato i regimi comunisti, nei quali la libertà e il mercato erano stati aboliti, mentre l’innovazione tecnologica era stata messa al servizio del solo settore militare. Si potrebbe pensare che quando questi regimi totalitari sono falliti l’ideologia che li ha ispirati venisse abbandonata. In realtà qualcosa del genere è avvenuto in moltissimi paesi perché, dopo la fine del maoismo in Cina e del comunismo in Russia, quasi tutto il mondo ha capito quello che doveva fare per sconfiggere la povertà e da allora lo sta facendo, con risultati straordinari. Però paradossalmente l’ideologia marxista si è diffusa in molti paesi ricchi, nonostante che essi siano diventati tali proprio grazie alla società moderna.
I marxisti, invece di registrare il fallimento della loro ideologia, hanno deciso di continuare la guerra contro la società moderna usando come arma i temi ambientali. Per questo sono diventati ambientalisti, perché hanno capito che sfruttando i sentimenti pro ambiente della gente potevano fare gravi danni all’economia. E all’accusa alla società moderna di essere la causa delle ingiustizie sociali, hanno aggiunto quella di essere responsabile anche dei danni all’ambiente. E dato che nella fase di crescita che porta dalla povertà al benessere i danni ci sono davvero, perché aumentano la produzione dei beni materiali e l’impatto ambientale, il loro messaggio è risultato credibile.
Però la produzione dei beni materiali non aumenta all’infinito. Infatti una volta che i mercati di questi beni sono stati saturati, a seconda dei settori la loro produzione si stabilizza, diminuisce oppure crolla, per essere sostituita dai servizi che non sono altro che beni immateriali. Inoltre i servizi soddisfano dei bisogni meno fondamentali che spingono l’economia con meno forza, per cui da quel momento l’economia rallenta. In compenso essi soddisfano dei bisogni più sofisticati che fanno fare alla società un altro salto di qualità. E poi ci sono gli aumenti di efficienza che rendono l’economia ancora più sostenibile. Infatti quello che conta non sono tanto i beni che produciamo e consumiamo, ma le risorse naturali che abbiamo usato per produrli. E se aumenta l’efficienza, diminuisce il consumo di risorse naturali a parità di beni prodotti.
La prova che la società moderna è l’unica sostenibile anche sul piano ambientale è che i paesi più sviluppati sono oggi, quasi da ogni punto di vista, molto più sostenibili di mezzo secolo fa e sostenibili col tempo lo diventano sempre di più. Mentre i paesi emergenti stanno percorrendo la stessa strada di quelli più sviluppati con solo qualche decennio di ritardo. Ben presto anche loro raggiungeranno la saturazione dei mercati dei beni materiali e il loro impatto ambientale comincerà a diminuire. E diminuirà ancora più in fretta perché adesso ci sono le auto elettriche che negli anni ‘70 c’erano.
In definitiva è facile dimostrare che la società moderna, una volta superata la fase di crescita che porta dalla povertà al benessere, è l’unica sostenibile sia sul piano sociale che ambientale. Eppure proprio questo modello di economia e di società è stato messo sotto accusa da un ambientalismo ideologizzato, interessato solo alle accuse e alle denunce e mai alle soluzioni. Un falso ambientalismo che, per non aiutare la società in cui viviamo a risolvere i suoi problemi, ha ostacolato o impedito tutte le tecnologie più utili sviluppate in questi anni, specialmente nel settore strategico dell’energia. Infatti sono state messe sotto accusa “tutte” le fonti di energia affidabili a partire da quella nucleare, che si è preteso di sostituire con la costosa follia delle “energie alternative”. Invece le centrali nucleari sono la soluzione ideale perché possono produrre tutta l’energia di cui abbiamo bisogno in maniera quasi miracolosa, cioè senza bruciare combustibili. E sono anche economiche, affidabili e sicure.
Questa politica energetica basata su dei presupposti ideologici e non sui dati della realtà ha impoverito a tal punto la nostra economia da trasformarci in un paese di serie B. Ma ha fatto danni ancora maggiori nei paesi più poveri del pianeta, ai quali ha imposto una politica che ne impedisce la crescita economica e l’uscita dalla povertà.
Oggi il 15% della popolazione mondiale vive nei paesi più sviluppati, che sono partiti prima perché la società moderna è stata inventata in Europa. Poi c’è un altro 75% che vive in paesi che negli ultimi 50 anni hanno innestato la marcia della crescita e stanno velocemente uscendo dalla povertà. Rimane un 10 % della popolazione mondiale che vive in paesi che non hanno ancora iniziato un percorso di crescita. Oltre ad alcune dittature, oggi l’area di maggiore povertà l’Africa centrale, nella quale il paese più grande è il Congo.
Però proprio in Congo è stato bloccato il progetto Grande Inga, che prevede una serie di dighe per la produzione di energia idroelettrica sufficiente per tutta questa regione. E la gente del posto viene costretta ad usare come unica fonte di energia la legna da ardere con la giustificazione che è “naturale”.
Infatti da anni le massime istituzioni internazionale hanno bloccato gli investimenti nelle infrastrutture dei paesi più poveri, con la pretesa che possano saltare l’industrializzazione per passare direttamente a fonti di energia naturali e sostenibili. Però non è vero che le fonti di energia naturali sono sostenibili perché la legna viene ottenuta tagliando gli alberi della foresta, mentre le energie alternative sono costosissime e quasi del tutto inutili. Ma con questi pretesti viene impedito ai paesi più poveri del mondo di uscire dalla povertà! E questo nonostante che l’energia idroelettrica sia carbon free e che diminuirebbe la pressione sugli ecosistemi naturali. E nonostante che gli investimenti necessari si ripagherebbero da soli con il valore dell’energia elettrica prodotta.
Per risolvere i problemi di oggi, per sconfiggere dovunque la povertà e rendere il mondo più sostenibile, è necessario invece proseguire sulla stessa strada che ha già ottenuto gli straordinari risultati di questi ultimi 50 anni. Per l’Italia questo significa abbandonare la follia delle pale eoliche e puntare nell’immediato sull’autonomia energetica e sull’efficienza. Poi bisogna rilanciare il turismo e i nostri prodotti di qualità sfruttando le grandi possibilità che abbiamo.
Ma non dobbiamo dimenticarci dei paesi più poveri che non hanno ancora iniziato un percorso di crescita. Dobbiamo promuovere il loro sviluppo non solo perché questo è un obiettivo degno di essere perseguito, ma anche perché questa è la condizione per salvare l’ambiente e per assicurare condizioni di pace, di stabilità e di sicurezza.