I MOLTI DANNI DI UN FINTO AMBIENTALISMO

Qual è lo scopo di molti ambientalisti? Salvare l’ambiente e diminuire le emissioni di gas serra?
No. Il loro vero scopo è combattere con dei pretesti ambientali l’economia e la società moderna, accusate da un’ideologia ottocentesca di essere la causa delle ingiustizie sociali e oggi anche dei danni all’ambiente.

Mentre i “veri” ambientalisti cercano delle soluzioni per i problemi dell’ambiente e lavorano per salvare la biodiversità, ce ne sono altri che addirittura si oppongono alle soluzioni più efficaci perché non vogliono fare dei regali alla società “capitalista”.
In pratica essi ci stanno impedendo di usare le tecnologie migliori che abbiamo per i principali problemi di oggi, a partire da quello strategico dell’energia. Interminabili campagne di stampa, purtroppo quasi mai contrastate, hanno messo sotto accusa tutte le fonti di energia affidabili a partire da quella migliore di tutte, l’energia nucleare, per imporre la follia assoluta delle energie alternative, che hanno costi enormi sia diretti che indiretti e non sono in grado di sostituire né le normali centrali elettriche né i combustibili fossili.


I molti danni di una folle politica energetica.
Le centrali nucleari possono produrre tutta l’energia di cui abbiamo bisogno in maniera quasi miracolosa, cioè senza bruciare carbone, petrolio o gas naturale. Inoltre questa fonte di energia è economica, perché il costo del combustibile nucleare è bassissimo rispetto a quello dei combustibili fossili. E sono anche impianti ad alta intensità energetica e pertanto hanno un impatto ambientale minimo sul territorio. Infine questa fonte di energia è rinnovabile, perché di combustibile nucleare ce n’è per decine di milioni di anni.
Ma l’opinione pubblica è stata convinta che l’energia nucleare comporti dei rischi inauditi e inaccettabili. Eppure proprio quello che è successo a Cernobyl e a Fukushima dimostra l’assoluta sicurezza delle centrali nucleari. Non solo: esse potrebbero anche evitare i cinque milioni di morti all’anno causati dalla combustione del carbone e del petrolio o dei suoi derivati (vedi l’articolo: Energia nucleare pulita e sicura).
Grandi campagne di stampa, molte delle quali finanziate dalle multinazionali dei combustibili fossili, le hanno messe sotto accusa proprio perché risolverebbero in maniera definitiva il problema dell’energia. Per questo stesso motivo le centrali nucleari sono state messe sotto accusa anche da tanti finti ambientalisti.
I finti ambientalisti e le multinazionali dell’energia sostengono invece le energie alternative. I primi per fare altri danni all’economia e le seconde per continuare a venderci il loro petrolio e il loro gas naturale di cui invece potremmo fare a meno.
La Germania aveva 19 centrali nucleari, già pagate, con le quali produceva dell’energia quasi a costo zero e con emissioni nulle di gas serra. Le ha chiuse e per sostituirle ha speso 600 miliardi di Euro in impianti eolici e fotovoltaici. Ma forse con tutti questi miliardi non è riuscita a sostituirne nemmeno una. Così i tedeschi sono stati costretti a comprare grandi quantità di gas dalla Russia, a prezzi altissimi, e a finanziare indirettamente la guerra contro l’Ucraina. Poi, dopo che la guerra è iniziata, in poco tempo hanno imparato a fare a meno del gas russo, ma per farlo sono stati costretti ad aumentare le importazioni di gas da altri paesi e hanno persino riaperto delle miniere di carbone.
La conseguenza di questa politica “ambientalista” è stata una colossale distruzione di risorse economiche, un grave danno paesaggistico e un grosso aumento delle emissioni di gas serra!
Ma anche la distruzione di risorse economiche ha un costo ambientale perché l’economia, per produrre quei 600 miliardi, ha dovuto girare, e quando gira esercita sempre un certo impatto ambientale. Pertanto distruggere delle risorse economiche vuol dire infliggere all’ambiente dei danni inutili o che avrebbero potuto essere evitati.
Ma allora qual è il vero scopo di questa politica energetica? Diminuire le emissioni di anidride carbonica? Evidentemente no. Ma l’Italia non è da meno.
Noi non avevamo delle centrali nucleari e quindi abbiamo chiuso gli impianti di estrazione del gas. Il blocco dell’estrazione del gas sul suolo nazionale era già stato la causa della devastante crisi economica che dura dal 2008. Poi, ad aggravare la crisi, c’è stata la spesa di 250 miliardi (al netto dell’inflazione) per le energie alternative, che però possono dare solo un contributo insignificante, o forse addirittura negativo, alla produzione di energia elettrica.
Quindi anche noi siamo stati costretti a comprare il gas russo e poi, per sostituirlo, abbiamo dovuto aumentare le importazioni da altri paesi. Anche qui con la conseguenza di un’enorme distruzione di risorse economiche che ha impoverito tutto il sistema paese.
I falsi ambientalisti erano anche riusciti ad impedire l’installazione dei rigassificatori, grazie ai quali possiamo trasportare il gas con le navi metaniere e andare a comprarlo là dove non arrivano i metanodotti. Un gas che costa poco anche perché, se nessuno va a comprarlo, viene comunque estratto dal sottosuolo insieme con il petrolio e poi di solito bruciato inutilmente appena sale in superficie.
Alla fine i rigassificatori li abbiamo installati, ma c’è voluto un cambio di governo e la guerra contro l’Ucraina.


La politica energetica assurda dell’Italia e della Germania.
Adesso la nuova parola d’ordine è: ”Il negazionismo climatico è una campagna di disinformazione ben organizzata che vuole confondere l’opinione pubblica per ritardare gli interventi di mitigazione del cambiamento climatico” (vedi l’articolo di LeScienze “Il doppio danno delle teorie del complotto” pag. 82 e 86 di Stephan Lewandowsky, Peter Jacobs e Stuart Neil).
Ora, posto che la temperatura globale è in aumento a causa del più alto tasso di CO2 atmosferico, a sua volta dovuto alle emissioni antropiche di gas serra, le politiche energetiche dell’Italia e della Germania servono davvero a diminuire queste emissioni e a mitigare il cambiamento climatico? No, no e poi no.
Allora qual è il vero scopo della grande campagna mediatica sul riscaldamento globale, questa sì molto bene organizzata e portata avanti con grande larghezza di mezzi? (a proposito, se per caso è in corso da qualche parte nel mondo una campagna negazionista del cambiamento climatico, essa è così debole che almeno da noi non raggiunge l’opinione pubblica). E poiché la politica delle pale eoliche, costosissima e del tutto incapace di diminuire le emissioni di gas serra, ha provocato danni enormi alle economie di molti paesi a partire dal Nostro, deve essere proprio questo il vero scopo di questa campagna di disinformazione in perfetto stile sovietico: fare il massimo danno alle economie “capitaliste”.
Ma i danni, anche se ci hanno già trasformato in un paese di serie B, non sono mai abbastanza. La nuova parola d’ordine serve a giustificare altre misure ancora più punitive per la nostra economia, che oggi possono essere imposte solo con dei pretesti ambientali.
Ma non c’è solo l’energia elettrica. Ci sono anche i biocarburanti e le auto a idrogeno.


I biocarburanti, l’auto a idrogeno e il progetto Grande Inga.
In Europa, ma ancora di più in Nord America, vaste estensioni di terreni agricoli vengono coltivate per produrre granaglie da trasformare in biocarburanti. Ma la ricerca ha dimostrato che l’energia che contengono è più o meno uguale a quella che è stata spesa nelle varie fasi della produzione. Quindi non viene prodotta nemmeno un po’ di energia in più. Di fatto questo è solo un modo per togliere dal mercato con un pretesto ambientale grandi quantità di prodotto allo scopo di sostenere i prezzi.
Nel Sud Est asiatico la produzione di biocarburanti ha comportato la distruzione di molte foreste primarie, che è il modo più veloce di aggiungere CO2 all’atmosfera e distruggere la biodiversità. Mentre la coltivazione del cerrado brasiliano, sempre per produrre biocarburanti, causa il rilascio di enormi quantità di gas serra (“Un ottimista razionale” di Matt Ridley – pag. 267).
Ma anche l’auto a idrogeno è una assoluta follia, per la quale finora sono state spese in tutto il mondo alcune centinaia di miliardi di dollari. E questo nonostante che, per motivi fisici insuperabili, non possa mai diventare realtà.
Eppure questa politica energetica costosissima, inutile e per di più dannosa per l’ambiente, è stata imposta dall’Europa ed è stata adottata anche dall’attuale governo di destra. E così adesso questa stessa politica, inventata a sinistra per fare il massimo danno all’economia, viene portata avanti da un governo di destra che si è dato l’obiettivo di rilanciare l’economia!
Ma il discorso sui danni all’economia causati da questo finto ambientalismo non sarebbe completo se non parlassimo anche dei paesi più poveri.
Oggi la regione più povera del mondo è l’Africa centrale e occidentale, della quale il paese più grande è il Congo. Gli abitanti di questo e di altri paesi della regione sono costretti ad usare come unica fonte di energia la legna da ardere, che si procurano tagliando gli alberi della foresta. La legna viene usata per cuocere i cibi, anche se non è la soluzione migliore, ma non può alimentare la crescita economica, l’unico modo conosciuto per sconfiggere la povertà.
Eppure una soluzione c’è ed è il progetto Grande Inga, che prevede la costruzione di una serie di dighe sugli affluenti del fiume Congo che potrebbero soddisfare il fabbisogno energetico di tutta l’Africa centrale. Dighe che si ripagherebbero da sole con il valore dell’energia elettrica prodotta.
Però da molti anni la Banca mondiale e la Banca europea per gli investimenti, che in teoria dovrebbero sostenere lo sviluppo, hanno smesso di finanziare i progetti infrastrutturali nei paesi più poveri.
Certo, le dighe modificherebbero il paesaggio e avrebbero un certo impatto sul territorio. Però nel complesso esse alleggerirebbero la pressione antropica sugli ecosistemi naturali perché sostituirebbero la legna da ardere. Ma un ambientalismo anticapitalista ha convinto le massime istituzioni internazionali ad impedire lo sviluppo dei paesi più poveri del mondo!


Gli ambientalisti veri lavorano per l’ambiente.
Ma i danni di questo finto ambientalismo non si limitano all’economia, ma si estendono anche agli ecosistemi naturali.
Parlando di ecosistemi naturali, il discorso si sposta sulle misure per la salvaguardia degli ambienti naturali e per il ripristino della biodiversità, là dove ce n’è bisogno. Sicuramente non ci sono solo degli ambientalisti finti, ma anche degli ambientalisti veri che studiano la natura e che lavorano per far tornare l’ambiente per quanto possibile vicino allo stato originario. Perché, se è vero che durante la crescita economica moderna molte specie si sono estinte o sono arrivate vicino all’estinzione, è anche vero che nelle economie mature la situazione si inverte, tanto che oggi nei paesi più sviluppati sono moltissime le specie che sono tornate o che non sono più a rischio.
Infatti nel nostro e in tanti altri paesi l’aumento della produttività agricola ha provocato l’abbandono dei terreni marginali nelle zone di montagna, che sono stati riconquistati dal bosco e dalla fauna selvatica
Il ritorno della fauna selvatica è stato per lo più spontaneo, ma diverse specie sono state reintrodotte grazie al lavoro dei “veri” ambientalisti.
I boschi appena ricresciuti sono ancora ecosistemi poveri. Ma gli scienziati e gli ambientalisti veri lavorano per farli diventare sempre più vitali e ricchi di biodiversità. In Italia c’è stato il ritorno della fauna selvatica, così come è avvenuto nel resto dell’Europa e in Nord America.
Prima gli erbivori e poi i carnivori, tanto che oggi nel nostro paese ci sono almeno 2000 lupi. Adesso essi occupano le zone di montagna più interne, che sono anche le più impervie e disabitate. Qui lo stato dell’ambiente è sempre più vicino a quello originario. Ma col tempo questi predatori saranno spinti dalla pressione demografica ad occupare delle aree sempre più vicine ai centri abitati, e anche lì terranno sotto controllo le popolazioni degli erbivori.
Anche i bisonti, dopo essere arrivati vicino all’estinzione, stanno aumentando di numero. Oggi in Europa ce ne sono 7000 e in Nord America, compreso il Canada, ce ne sono 500.000. Anche la loro presenza è benefica per l’ambiente, perché questi grandi erbivori consumano molta vegetazione e aprono nel bosco delle radure che vengono sfruttate dagli altri animali. E dove ci sono gli erbivori arrivano i carnivori, che impediscono che la vegetazione subisca una pressione eccessiva.
La presenza del lupo permette al bosco di rinnovarsi, e dove ci sono le condizioni, come nelle foreste boreali del Canada, subito dopo compaiono i castori. Anche i castori sono importanti, perché con le loro dighe creano stagni e zone umide, che attirano altra fauna selvatica e rendono i boschi ancora più sani e vitali.
Gli ambientalisti anti capitalisti, combattendo la società moderna e lo sviluppo, ostacolano e ritardano il recupero degli ecosistemi naturali.


La ricrescita delle foreste nei paesi emergenti.
Questo per quanto riguarda i paesi più sviluppati. E gli emergenti? Essi stanno percorrendo la stessa strada di quelli più sviluppati con solo qualche decennio di ritardo. I dati dell’Onu, e anche gli spaccati di vita che vediamo in molti documentari, ci dicono che negli ultimi 50 anni tutti gli indicatori globali dello sviluppo hanno conosciuto uno straordinario miglioramento. Questo perché i paesi emergenti stanno crescendo a ritmi che sono persino superiori a quelli del boom economico italiano. Inoltre è in corso anche su scala globale l’esodo dalle campagne alle città che noi abbiamo conosciuto nella prima metà del dopoguerra.
Nel 2008 l’ONU ha reso noto che la popolazione urbana aveva superato quella rurale e la previsione è che nel 2025 cinque miliardi di persone vivranno nelle città e tre nelle aree rurali. Ma l’esodo continuerà anche dopo. E già oggi, nella fascia tropicale, ci sono diversi milioni di chilometri quadrati di foreste secondarie ricresciute dopo l’abbandono dell’agricoltura. E poi ci sono i programmi di rimboschimento, per esempio il progetto “Grande muraglia verde del Sahel”.
La Cina e l’India hanno già raddoppiato le loro superfici forestali e molti altri paesi seguono a ruota. Inoltre un po’ dappertutto vengono creati dei parchi naturali e vengono protette le specie a rischio. E tutto questo è merito dello sviluppo, che causa l’abbandono dell’agricoltura di sussistenza e genera le risorse per degli interventi di tutela ambientale.
Purtroppo però i falsi ambientalisti hanno convinto le massime istituzioni internazionali che lo sviluppo è insostenibile e ad interrompere i finanziamenti alle infrastrutture di cui i paesi più poveri hanno un disperato bisogno per la loro crescita.
Se invece il Congo e i paesi vicini disponessero di energia elettrica, potrebbero anch’essi diminuire la pressione sugli ambienti naturali e la fauna selvatica.


Gli altri danni di un ambientalismo deviato.
La crisi economica italiana e il mancato sviluppo dei paesi più poveri sono però solo alcuni dei danni di questo finto ambientalismo. Essi vanno dalla proibizione del DDT, anche nelle dosi minime necessarie per combattere la malaria, che si stima abbia causato 50 milioni di morti (vedi l’art. “Il dramma della malaria”), alla guerra alle piante gm, per le quali non sono mai stati dimostrati danni alle persone o all’ambiente, che costringe gli agricoltori a spargere nei campi grandi quantità di veleni e che nei paesi emergenti ostacola la modernizzazione dell’agricoltura (vedi l’art. “Piante geneticamente modificate”). Poi l’opposizione a diverse sostanze chimiche, utilissime e innocue, sempre in base al principio di precauzione.
Per esempio la contrarietà a qualsiasi uso del PVC, un materiale del tutto inerte e che ha molti usi importanti. Oppure al cloro per potabilizzare l’acqua, che è l’intervento di politica sanitaria più efficace ed economico che sia mai stato preso. Infatti in passato la maggior parte delle malattie provenivano dall’acqua contaminata, e minuscole quantità di cloro la rendono potabile (vedi “L’Ambientalista Ragionevole” di Patrick Moore – pag. 191 e 418).


Perché?
A questo punto è inevitabile chiedersi: perché ci sono tanti finti ambientalisti che cercano di fare il massimo danno all’economia, all’ambiente e alla società in cui viviamo, invece di lavorare per risolverne i problemi?
Perché sono convinti che la società moderna sia la causa delle ingiustizie e delle disparità sociali e hanno deciso di sfruttare i sentimenti pro ambiente della gente per combatterla. Ma, come questo sito da tanto tempo sostiene, la società moderna matura e terziarizzata (il settore terziario è quello dei servizi) è l’unico modello sostenibile anche dal punto di vista ambientale.
Ma spesso anche chi non è marxista non ha le idee chiare sul tema dell’ambiente e dello sviluppo. La povertà estrema di tutte le altre epoche sta velocemente arretrando quasi dovunque; stiamo raggiungendo l’equilibrio demografico anche su scala globale; i paesi più sviluppati sono oggi molto più sostenibili di mezzo secolo fa, mentre gli emergenti stanno percorrendo la stessa strada, che è una strada obbligata, con solo qualche decennio di ritardo. Infine per i principali problemi di oggi, che sono quelli della produzione del cibo e dell’energia sia nei paesi più sviluppati che negli emergenti, la società moderna ha già tutte le soluzioni che possiamo desiderare.
E la situazione sarebbe ancora migliore se producessimo l’energia con le centrali nucleari, se sostituissimo le auto con motore termico con quelle elettriche, se consumassimo meno proteine animali come gli scienziati ci consigliano di fare e se usassimo l’ingegneria genetica per rendere le piante resistenti ai parassiti.
Infine, per quanto riguarda l’Italia, se avessimo puntato sull’autonomia energetica e se non avessimo buttato tutti quei soldi nella follia delle energie alternative, oggi saremmo uno dei paesi più prosperi e sviluppati del mondo e non un paese di serie B.
Capire il mondo di oggi è la condizione per continuare a migliorarlo. I risultati ottenuti finora sono di importanza epocale. Ci sono ancora molti altri problemi da risolvere, ma le soluzioni ci sono e sono alla nostra portata.