POLITICA E AMBIENTE
I temi dell’ambiente e dello sviluppo sono i più importanti del nostro tempo. Questo sito ne propone un’analisi che rovescia molte convinzioni diffuse, che a loro volta hanno determinato molte decisioni politiche sbagliate, con danni incalcolabili.
Parlando di sviluppo, il dato più importante da cui partire è la miseria assoluta di tutte le altre epoche, che è la nostra eredità ancestrale. Poi, al centro del discorso c’è il nostro giudizio sulla società moderna, che non è la causa di ogni male come molti pensano, ma l’unico modello sostenibile sia sul piano sociale che ambientale.
La società moderna (rivoluzione scientifica e tecnologica, economia di mercato e libertà), è nata in Europa due secoli e mezzo fa, ha già liberato dalla povertà i paesi più sviluppati e oggi sta ottenendo lo stesso risultato nel resto del mondo.
Sono i dati dell’ONU a dirci che negli ultimi 50 anni tutti gli indicatori globali dello sviluppo hanno conosciuto uno straordinario miglioramento: demografia, reddito, speranza di vita, sopravvivenza alla nascita, accesso a istruzione, cure mediche, acqua potabile, elettricità ecc. Con la crescita economica moderna l’aspettativa di vita media mondiale è quasi triplicata, passando da 24 anni agli attuali 74.
Con il passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale, la produzione dei beni che soddisfano i bisogni fondamentali è aumentata di decine di volte. Questa abbondanza ha sconfitto la povertà e ha diminuito la mortalità. Ma dato che i tassi di natalità ci impiegano più tempo a diminuire, la popolazione è molto aumentata. Oggi essa è sette volte più numerosa e i consumi pro capite sono dieci volte più alti. Pertanto l’impatto delle attività umane sull’ambiente è aumentato moltissimo. Per questo molti pensano che la società moderna non sia sostenibile.
Però la crescita che porta dalla povertà al benessere non è eterna: da noi è finita mezzo secolo fa. Nel 1972 venne pubblicato un libro intitolato “I limiti dello sviluppo” che arrivava a conclusioni pessimistiche perché partiva dal doppio presupposto di una crescita demografica esponenziale e di una produzione dei beni materiali e relativo consumo di risorse primarie, anch’essa illimitata.
Eppure in quello stesso anno i paesi più sviluppati avevano già raggiunto o stavano raggiungendo la stabilità demografica, e negli anni successivi anche nel resto del mondo i tassi di natalità hanno cominciato a diminuire. Oggi, dati ONU, sono più di 25 anni che, in media mondiale, il numero di nuovi nati ha smesso di aumentare. Questo vuol dire che stiamo già raggiungendo la stabilità demografica anche su scala globale. E per quanto riguarda l’altro presupposto, proprio nel corso degli anni Settanta nei paesi più sviluppati sono diminuite sia la produzione dei beni materiali che il consumo delle risorse primarie.
Se molti non ne sono convinti, è perché il consumo di questi beni non era affatto diminuito. Però è diminuita la loro produzione. Per esempio in Italia abbiamo costruito il nostro sistema autostradale negli anni Sessanta. Però, proprio perché le autostrade le avevamo già costruite tutte, nel corso degli anni Settanta non ne abbiamo costruita nessun’altra (ma abbiamo continuato a usarle). Pertanto l’intero settore dell’economia che costruiva autostrade ha chiuso.
Ma questo discorso deve essere esteso a tutti gli altri sottosettori dell’edilizia e più in generale a tutti i settori produttivi di beni materiali: man mano che vengono raggiunti i limiti del mercato, a seconda dei settori la produzione si stabilizza (generi alimentari), diminuisce (mobili, elettrodomestici, mezzi di trasporto ecc.) o crolla (edilizia). La riprova è che in questo periodo sono crollate le produzioni di acciaio, rame e cemento.
E poi ci sono gli aumenti di efficienza. E quando aumenta l’efficienza, a parità di beni prodotti diminuisce il consumo delle risorse primarie. Siamo circondati da aumenti di efficienza (isolamento termico, lampadine, frigoriferi, condizionatori d’aria ecc.), ma quelli più importanti riguardano l’agricoltura e la produzione di energia elettrica.
L’aumento di 5 o 6 volte delle rese agricole e dei redditi avvenuto nella prima metà del dopoguerra ha reso non più necessario e nemmeno conveniente lo sfruttamento di molti terreni agricoli marginali in zone di montagna. Terreni che sono stati abbandonati e riconquistati dal bosco e dalla fauna selvatica. E per quanto riguarda l’energia, a partire dalla metà degli anni Novanta le centrali a turbogas hanno quasi raddoppiato l’efficienza delle centrali elettriche (questo significa che a parità di elettricità prodotta consumano poco più della metà del combustibile). Inoltre esse usano il gas naturale, un combustibile che non inquina, che produce molto meno anidride carbonica e che fino a quel momento era largamente sprecato.
Qualche anno fa gli Stati Uniti hanno scoperto come sfruttare i giacimenti di gas naturale presenti nelle rocce argillose e impermeabili (shale gas) e stanno trasferendo i loro consumi dal carbone al gas naturale e dalle centrali a carbone a quelle a turbogas. E stanno abbattendo a tal punto le loro emissioni di CO2 che negli ultimi anni a livello globale esse si sono stabilizzate. Anche gli altri due maggiori consumatori di carbone, la Cina e l’India, hanno grandi giacimenti di shale gas sul proprio territorio. Ma, rispetto agli U.S.A. e all’Europa, le loro centrali a carbone sono molto meno efficienti e devono bruciare quasi il doppio del combustibile, e sono anche molto inquinanti. Pertanto questi due grandi paesi hanno ancora più interesse a eliminare le loro centrali obsolete, e quando le sostituiranno con centrali a turbogas loro emissioni di anidride carbonica crolleranno dell’ 80 / 90%. Ma essi sembrano più interessati a sostituirle con centrali nucleari: una soluzione molto migliore, perché il consumo di combustibili fossili viene azzerato.
Quindi negli anni Settanta nei paesi più sviluppati la produzione dei beni materiali è diminuita; dato però che non era diminuita la capacità di spesa, questa si è diretta sui servizi, che oggi coprono i tre quarti dell’economia. Ma i servizi sono essenzialmente beni immateriali, la cui produzione ha un minore impatto ambientale. Inoltre i servizi soddisfano dei bisogni meno fondamentali, che spingono l’economia con meno forza. Nello stesso tempo però essi soddisfano dei bisogni più sofisticati che fanno fare alla società un altro salto di qualità.
Prima di tutto ci sono i servizi forniti dallo Stato, a partire da istruzione e sanità. Poi quelli dei privati: informazione, cultura, turismo, viaggi, vacanze, ristorazione, servizi alla persona, servizi alle imprese ecc.
Tra i bisogni più sofisticati che questa società più evoluta cerca di soddisfare c’è anche l’esigenza di tutelare l’ambiente. E la società moderna ha anche le risorse per poterlo fare. Per tutti questi motivi i paesi più sviluppati sono oggi, da ogni punto di vista, molto più sostenibili di 50 o 60 anni fa: la popolazione non aumenta più, la superficie dei boschi è più che raddoppiata, nel bosco sono tornati gli animali, tutti i principali inquinanti sono crollati e sono molto diminuite anche le emissioni di anidride carbonica.
Per quanto riguarda i paesi emergenti, essi stanno percorrendo la stessa strada di quelli più sviluppati con solo qualche decennio di ritardo. Dopo la forte crescita degli ultimi decenni, dimostrata anche dai dati dell’ONU, essi si trovano, a seconda del loro stadio di sviluppo, al punto in cui noi eravamo negli anni Cinquanta e Sessanta. Pertanto, per arrivare al nostro 1970, essi dovranno crescere ancora per altri 10, 20 o 30 anni. In realtà in questi paesi c’è già una classe media, più o meno estesa e in espansione, che ha già soddisfatto i suoi bisogni primari e che si sta orientando sui servizi.
I paesi emergenti stanno percorrendo la stessa strada di quelli più sviluppati anche per quanto riguarda l’urbanizzazione. In questo momento è in pieno svolgimento su scala globale l’esodo dalle campagne alle città che noi abbiamo conosciuto nella prima metà del dopoguerra. Anche qui con la conseguenza che i terreni abbandonati vengono presto riconquistati dalla foresta. Già adesso ci sono diversi milioni di chilometri quadrati di foreste tropicali secondarie ricresciute dopo l’abbandono delle attività agricole. E dovunque nel mondo vengono istituiti parchi naturali e sono in corso piani di rimboschimento.
Per esempio negli ultimi decenni la Cina e l’India hanno più che raddoppiato le loro superfici forestali. Ancora: quando tra qualche anno le auto elettriche avranno sostituito quelle di oggi, i consumi di materie prime e di energia subiranno un altro crollo. Infine c’è un grande interesse in tutto il mondo, con l’eccezione di alcuni paesi europei tra cui l’Italia e la Germania, per l’energia nucleare, che è la soluzione ottimale del problema dell’energia (vedi l’art. ENERGIA NUCLEARE PULITA E SICURA). Per tutti questi motivi la previsione più ragionevole è che nei prossimi decenni le emissioni di anidride carbonica subiranno una forte diminuzione, non il forte aumento che è stato previsto, e questo cambia anche i termini della discussione sul clima.
Queste tendenze sono già di per sé molto positive. Eppure non è ancora tutto, perché anche per il problema della produzione del cibo ci sono già adesso delle vere soluzioni, praticabili, convenienti e alla nostra portata. Sarebbe sufficiente dire alla gente che la prima cosa da fare per prevenire tutte le malattie più diffuse è dimezzare il consumo delle proteine animali, la cui produzione ha un impatto ambientale da cinque a dieci volte superiore rispetto ai vegetali. A questo punto, a cosa si ridurrebbe la pressione sull’ambiente di agricoltura e allevamento?
Quindi la società moderna, caratterizzata dalla rivoluzione scientifica e tecnologica, dall’economia di mercato e dalla libertà, è veramente l’unico modello sostenibile sia sul piano sociale che ambientale.
Eppure nei paesi più sviluppati si è affermato un ambientalismo che condanna la società moderna, la crescita economica e lo sviluppo. E che è riuscito ad imporre all’ONU, alle sue agenzie e ai governi dei paesi ricchi (che sono diventati tali grazie alla crescita e allo sviluppo) una politica che combatte sia l’una che l’altro. Prima di tutto nei paesi più poveri e facilmente ricattabili, ma anche in molti degli stessi paesi sviluppati.
La pretesa è che i paesi poveri possano saltare l’industrializzazione e le grandi produzioni di energia, ricorrendo da subito a fonti di energia “naturali” e sostenibili. Una pretesa assurda, perché tutti sanno che più la produzione di energia è concentrata, più è sostenibile. Viceversa le fonti di energia diffuse e a bassa densità energetica come eolico, fotovoltaico e biomasse, “consumano” grandi superfici di territorio, che è la nostra risorsa più preziosa, e sono anche costose, aleatorie e inaffidabili.
Sulla base di questi presupposti utopistici i paesi ricchi hanno tagliato i finanziamenti alle infrastrutture ad altra intensità energetica nei paesi più poveri, dalle centrali elettriche alle dighe, di cui essi hanno un disperato bisogno. E hanno preteso di sostituirle con delle fonti di energia tradizionali come la legna da ardere o con i costosissimi e inaffidabili impianti eolici e fotovoltaici (vedi il capitolo “Energia negata” de “L’APOCALISSE PUO’ ATTENDERE” di M. Shellenberger). Purtroppo però non è mai successo che un paese sia uscito dalla povertà senza fonti di energia affidabili e a basso costo.
Inoltre alcuni paesi ricchi hanno preteso di sostituire le loro centrali elettriche con le “energie alternative”, con costi enormi e un pesante impatto sul territorio, praticamente in cambio di nulla. Come la Germania che ha chiuso le sue 19 centrali nucleari, ha speso 600 miliardi per impianti eolici e fotovoltaici, ma che è costretta a comprare il gas dalla Russia e sta addirittura tornando al carbone. Oppure come l’Italia che ha speso 250 / 300 miliardi per eolico e fotovoltaico, ha chiuso i suoi impianti di estrazione del gas, e che adesso deve importarlo dalla Russia, sempre a prezzi altissimi. Con questa politica, che ha anche aumentato il più possibile la nostra dipendenza dalle importazioni, il Nostro si è impoverito al punto da diventare un paese di serie B.
Ma perché le ONG verdi, i governi, l’ONU e le istituzioni internazionali hanno adottato questa politica antisviluppo, che è anche la meno sostenibile sul piano ambientale? Perché lo scopo è proprio quello di impedire sia la crescita che lo sviluppo, considerati erroneamente la causa dei problemi sociali e ambientali.
Il malthusianesimo di molti intellettuali degli anni ’70 e ’80 aveva suscitato il timore che la crescita economica di una popolazione molto più numerosa, e sempre più numerosa, avrebbe provocato danni intollerabili all’ambiente. Ma questa paura è infondata, perché oggi stiamo raggiungendo la stabilità demografica anche su scala mondiale. Anzi gli unici paesi che hanno ancora dei tassi di natalità alti sono quelli più poveri. E per quanto riguarda lo sviluppo, esso è molto più sostenibile della sua assenza. Lo dimostrano i paesi più sviluppati che sono oggi, da ogni punto di vista, molto più sostenibili di mezzo secolo fa, e sostenibili col tempo lo diventano sempre di più.
Però molti ambientalisti sono contrari allo sviluppo per ragioni ideologiche. I marxisti sono diventati ambientalisti perché hanno capito che sfruttando i sentimenti pro ambiente della gente possono fare gravi danni all’economia. Per questo non sono interessati alle soluzioni; al contrario, essi hanno sempre combattuto e ostacolato tutte le soluzioni più efficaci, specialmente nel settore strategico dell’energia, per imporre le costosissime e inutili “energie alternative”. Una posizione che piace moltissimo anche alle multinazionali dei combustibili fossili, perché così il carbone, il petrolio e il gas diventano delle fonti di energia obbligate. Tanto che questi gruppi economici hanno finanziato molte campagne di propaganda a favore delle energie alternative e contro il nucleare, e si sono date anche molto da fare per far chiudere delle centrali nucleari.
Infine, a giustificazione delle politiche anti sviluppo, adesso c’è anche “la lotta contro il cambiamento climatico”. Però molti dei presupposti su cui si basa la previsione di un forte aumento della temperatura globale per la fine del secolo non sono realistici (vedi l’articolo: ” REIMPOSTARE LA DISCUSSIONE SUL CLIMA”). Per esempio le auto elettriche e il teleriscaldamento abbatteranno il consumo di energia e le emissioni di gas serra senza farci tornare al Medioevo.
Oggi il 15% della popolazione mondiale vive nei paesi più sviluppati. Un altro 75% ha già innestato la marcia della crescita e sta uscendo velocemente dalla povertà. In questo momento la più grande area di povertà del pianeta è l’Africa centrale e occidentale. Delle dighe sugli affluenti del fiume Congo, che si ripagherebbero da sole con l’energia elettrica prodotta, creerebbero le condizioni per lo sviluppo anche per questa regione. Inoltre esse sostituirebbero la legna da ardere, che oggi è quasi l’unica fonte di energia, alleggerendo di conseguenza l’impatto ambientale. Inoltre in questa parte dell’Africa quasi tutto il fabbisogno di proteine viene soddisfatto con la caccia agli animali della foresta. Problema che si potrebbe risolvere con una produzione di carne alternativa (vedi l’ultimo paragrafo delle “PROPOSTE PER RILANCIARE L’ECONOMIA”).
Lo sviluppo è la condizione per sconfiggere la povertà e per proteggere gli ambienti naturali da uno sfruttamento eccessivo. Esso è anche la condizione per una pace stabile e duratura. Però molti paesi (ricchi) hanno scelto la strada sbagliata delle politiche anti sviluppo, sia al proprio interno sia nei paesi più poveri. Politiche che non hanno alcuna giustificazione né umana né razionale. L’unica strada percorribile è invece quella di un ambientalismo dal volto umano, che voglia davvero un mondo più giusto e sostenibile.