LA COSTOSA FOLLIA DELLE ENERGIE ALTERNATIVE
L’energia è un bene strategico da cui dipende sia la prosperità economica che la sostenibilità ambientale. Chi si occupa di ambiente e sviluppo dovrebbe quindi mettere al primo posto la ricerca di nuove fonti di energia che siano ad un tempo economiche e sostenibili. Invece purtroppo si è affermato un ambientalismo ideologico che ha più interesse a mettere sotto accusa l’economia capitalista che a trovare delle soluzioni efficaci. Esso ha condannato tutte le principali tecnologie sviluppate in questi anni e ha imposto la costosissima non soluzione delle energie alternative, che lasciano i problemi immutati o addirittura li aggravano. L’energia eolica e fotovoltaica, i biocarburanti e l’auto a idrogeno, nonostante i loro costi esorbitanti, non sono in grado di sostituire le normali centrali elettriche e i combustibili fossili.
Energia eolica e fotovoltaica.
L’Europa si è data l’obiettivo di coprire il 20% della produzione di energia con le fonti rinnovabili entro il 2020. Questo obiettivo in termini di potenza installata è stato raggiunto grazie ai forti incentivi pubblici e ai costi impropri addossati alle famiglie, che in Italia pagano 10 miliardi Euro all’anno in più sulle bollette elettriche. Adesso l’obiettivo, da raggiungere entro il 2030, è stato portato al 32%.
Ma potenza installata non significa energia elettrica prodotta.
In Europa tra il 2003 e il 2007 la percentuale di tempo in cui gli impianti eolici funzionano alla massima potenza è stata inferiore al 21% (vedi l’articolo “Energia: l’illusione delle soluzioni facili” pubblicato da LeScienze nel mese di settembre 2012). In Italia, dove le condizioni di vento sono molto meno favorevoli tanto che non sono mai stati costruiti mulini a vento, questa percentuale dovrebbe essere più o meno dimezzata.
Inoltre “Alcune di queste fonti come il fotovoltaico richiedono, per costruire gli impianti, una quantità di energia superiore a quella che quegli impianti produrrebbero in tutta la loro vita e non dovrebbero essere prese in considerazione in un discorso ambientale serio” (vedi “Il caso Terra” di Paolo Saraceno - Mursia editore 2007 - pag. 216).
Per quanto riguarda poi gli impianti fotovoltaici presenti in tutte le province della pianura padano veneta, di energia ne producono ben poca perché i giorni di copertura nuvolosa sono il 70 / 80% del totale. E poi la produzione parte da zero alla mattina, raggiunge il picco a mezzogiorno e torna a zero alla sera. Ma non è questo l’andamento dei consumi elettrici. Inoltre la produzione dipende dalla presenza o meno delle nuvole, e quindi anch’essa è discontinua e imprevedibile.
Per rendere almeno in parte utilizzabile l’energia eolica e fotovoltaica, bisogna installare delle centrali di back up, che devono essere tenute pronte ad accendersi per quando cala il vento o il cielo si copre di nuvole. Ma esse hanno un rendimento molto più basso sia perché sono più piccole sia perché le normali centrali elettriche sono tutte a ciclo combinato a gas con rendimenti prossimi al 60%.
Inoltre di notte la domanda di energia elettrica crolla e le grosse centrali elettriche non possono essere spente alla sera per essere riaccese alla mattina, perche queste sono operazioni che durano delle ore e che logorano gli impianti. Per questo di notte vengono portate al minimo, ma anche così producono più energia di quella che viene consumata. Pertanto l’energia eolica prodotta nelle ore più profonde della notte non può essere usata neanche ricorrendo alle centrali elettriche di back up.
In Italia, considerando anche i costi indiretti, per eolico e fotovoltaico abbiamo già speso circa 300 miliardi di qualche anno fa, praticamente in cambio di nulla.
Del resto l’energia eolica non è conveniente nemmeno nel paese europeo che ha le migliori condizioni di vento. La Danimarca ha investito molto su questa fonte di energia. Ma anche lì vale il discorso che l’energia prodotta di notte è più dannosa che utile. Inoltre, dato che la quantità non è più insignificante, ogni volta che cala il vento, per non dover interrompere le forniture la Danimarca è costretta a comprare dell’energia elettrica dai paesi confinanti, senza alcun preavviso e ad effetto immediato, e quindi alle peggiori condizioni di mercato.
Questi problemi non ci sarebbero se si potesse immagazzinare l’energia elettrica a costi ragionevoli, in modo da poterla usare quando ce n’è bisogno. Purtroppo però non ci sono modi convenienti di immagazzinare grandi quantità di energia elettrica, nemmeno in un futuro prevedibile (vedi l’articolo di LeScienze “Imbrigliare il vento” del mese di maggio 2012).
Inoltre l’economia, per produrre le risorse economiche che sono state impiegate per queste fonti alternative, ha dovuto consumare dell’energia; energia che, insieme a quella consumata per fabbricare questi impianti, dovrebbe essere sottratta a quella utile prodotta. Alla fine cosa rimane? Il bilancio è sicuramente negativo. Inoltre sia gli impianti eolici che quelli fotovoltaici usano delle “terre rare” la cui produzione ha un grande impatto ambientale. E anche il loro smaltimento dopo 25 anni è molto problematico. Infine c’è il danno ambientale costituito da centinaia di torri di cemento, visibili da decine di chilometri di distanza, che deturpano il paesaggio, compresi siti archeologici di importanza mondiale come quello di Agrigento. Infine i finanziamenti pubblici hanno creato degli spazi per molte speculazioni, comprese quelle della mafia.
Biocombustibili
I biocombustibili e i biocarburanti sono un’altra assurdità. Nell’anno 2010 la produzione di biocombustibili negli Stati Uniti è stata pari a 49 miliardi di litri, a fronte di un consumo di 550 miliardi di litri di benzina e gasolio. Considerando che un litro di etanolo fornisce ad un veicolo solo i due terzi dell’energia prodotta da un litro di benzina, questa quantità rappresenta il 6% del fabbisogno di carburante. Un risultato che è stato ottenuto solo grazie ai massicci sussidi del governo americano. Per produrre questo etanolo viene usato il 40% del mais, con la conseguenza di far lievitare i prezzi delle derrate agricole e di creare un’enorme zona morta nel Golfo del Messico a causa della grande quantità di fertilizzanti impiegati (informazioni tratte dall’articolo “Biocombustibili: una promessa non mantenuta” pubblicato da LeScienze nel mese di ottobre 2011).
Secondo numerosi studi un litro di etanolo richiede più energia per essere prodotto di quanto ne fornisca durante la combustione, e anche negli studi più favorevoli il guadagno energetico è appena percettibile (vedi l’articolo di LeScienze: “Etanolo tra mito e realtà” pubblicato nel mese di aprile 2007).
Quindi di nuovo un contributo nullo al problema dell’energia, ma per il quale sono state impiegate enormi risorse naturali (13 milioni di ettari di terreno agricolo), a cui vanno aggiunti i sussidi governativi e il maggiore costo del mais pagato dai consumatori.
In realtà l’aumento del prezzo dei cereali è l’unica vera conseguenza di questa operazione, che si configura come una speculazione sui prezzi che ha preso a pretesto delle motivazioni ambientali per sottrarre dal mercato un’enorme quantità di prodotto.
Produrre l’etanolo dalla cellulosa potrebbe sembrare una soluzione migliore. Quantomeno non verrebbero distrutte delle derrate agricole. La campagna produce infatti una grande quantità di residui cellulosici che non possono essere usati nemmeno come mangimi. D’altra parte non è vero che questi residui vegetali sono inutili. Infatti sottrarre grandi quantità di residui vegetali che migliorano la qualità del suolo quando si decompongono, potrebbe accelerare il degrado del terreno e renderlo incapace di sostenere la crescita delle nuove colture. La conclusione è che anche con i residui vegetali non si potranno mai produrre grandi quantità di biocarburanti. Inoltre, nonostante che molti ci abbiano provato, nessuna azienda è riuscita finora a sviluppare un procedimento praticabile per una produzione industriale. Una produzione cioè che sia conveniente sia dal punto di vista economico che energetico.
Per quanto riguarda l’etanolo da canna da zucchero, la sua produzione sul piano economico si è dimostrata conveniente. Il Brasile qualche anno fa produceva 26,5 miliardi di litri di etanolo da zucchero di canna ogni anno, ma al prezzo di convertire grandi superfici di foresta tropicale in terreno per coltivazioni. Il danno ambientale è enorme, anche in termini di una maggiore produzione di anidride carbonica.
Infine le alghe. Le alghe hanno la capacità di sfruttare il triplo della radiazione solare e di produrre biomassa in maniera molto più efficiente del mais e della canna da zucchero, e possono essere irrigate con acqua di mare o liquami. Si potrebbero usare per queste coltivazioni anche delle aree desertiche. Ma il problema è la trasformazione delle alghe in etanolo. Nonostante gli investimenti e i contributi pubblici, le aziende del settore sono ancora molto lontane da una produzione industriale dal costo accettabile. Ecco in proposito il parere di Vinod Khosla, un investitore specializzato in tecnologie ambientali: “Prendiamo le tecnologie per l’estrazione di combustibili dalle alghe: ne ho viste decine, ma nessuna sostenibile dal punto di vista economico. E non è tutto: analizzando i costi, non ho mai visto un ipotetico punto di svolta che possa migliorare di cinque volte l’efficienza dei processi” (vedi l’intervista di Mark Fischetti pubblicata su LeScienze del mese di marzo 2011).
Auto a idrogeno
Infine un’altra grande utopia è quella dell’auto a idrogeno. L’idrogeno brucia combinandosi con l’ossigeno e produce solo qualche goccia di acqua calda. Per questo è diventato un’icona dell’ambientalismo.
Sull’auto a idrogeno sono state riposte molte speranze e sono stati fatti colossali investimenti (tutti pubblici!), stimabili in qualche centinaio di miliardi di dollari. L’idrogeno a bordo dell’auto verrebbe trasformato in energia elettrica in una cella a combustibile, un modo per arrivare all’auto elettrica.
Ma sulla Terra non ci sono giacimenti di idrogeno e questo gas bisogna ricavarlo da altre fonti. Il modo più economico è produrlo dal metano a costi quattro volte superiori e con una perdita del contenuto energetico di quasi il 50%.
Ma allora, perché non usare direttamente il metano? Altrimenti l’idrogeno può essere prodotto per elettrolisi, cioè scindendo le molecole dell’acqua nelle sue componenti, l’idrogeno e l’ossigeno. Ma serve molta pregiata energia elettrica.
Infine il vapore acqueo si scinde spontaneamente in idrogeno e ossigeno quando viene scaldato ad una temperatura di almeno 800 C°. Ma di nuovo occorre dell’energia in una forma pregiata e costosa, e circa la metà di essa servirebbe a produrre ossigeno. E poiché l’ossigeno ha un mercato limitato, anche qui metà dell’energia andrebbe perduta.
Ma l’idrogeno, oltre a dover essere prodotto da fonti di energia pregiate, è anche il mezzo meno adatto per immagazzinarla, dato che ha una bassa capacità energetica. E a rendere questo gas ancora più problematico, c’è il fatto che per essere liquefatto esso deve essere portato alla temperatura davvero bassa di –252,77 C°.
Liquefare l’idrogeno allo scopo di ridurne il volume è molto costoso ed è necessario un impianto di raffreddamento sofisticato, che a sua volta consuma molta energia. E un impianto che dovrebbe funzionare sempre in maniera impeccabile, anche quando l’auto è ferma. Perché se la temperatura dovesse superare anche di poco il limite del passaggio di stato, l’idrogeno passerebbe istantaneamente dallo stato liquido a quello gassoso e il suo volume aumenterebbe di decine di volte con un’immane esplosione.
Un altro modo per liquefare l’idrogeno è comprimerlo a 700 atmosfere, ma di nuovo è necessaria una grande quantità di energia. Inoltre l’idrogeno, anche liquefatto, a parità di energia occupa un volume cinque volte superiore a quello della benzina. Quindi è necessario un serbatoio molto grande, massiccio e pesante, perché possa contenere con sicurezza una simile pressione. E l’auto a idrogeno dovrebbe essere a sua volta sufficientemente grande e robusta per poter trasportare un tale peso e volume. Ma allora consumerebbe ancora più energia, avrebbe bisogno di un serbatoio ancora più grande ecc.
Poi, una volta caricato sull’auto, l’idrogeno dovrebbe essere trasformato in elettricità in una cella a combustibile, e l’elettricità così prodotta alimenterebbe il motore elettrico.
Il rendimento di questa trasformazione è di circa il 50%, e ciò significa che metà dell’energia andrà perduta (e a questo punto rimarrebbe solo un quarto dell’energia originaria del metano). Inoltre le celle a combustibile non solo sono dispositivi molto sofisticati e per adesso di costo proibitivo, ma la loro componente principale è la spugna di platino. E anche ammesso che tutti gli altri problemi possano essere risolti, semplicemente di platino non ce n’è abbastanza.
Il platino è un metallo molto più raro dell’oro. Se ne può trovare una quantità sufficiente per qualche prototipo, ma come si può pensare che ce ne sia abbastanza per centinaia di milioni di auto? E se l’auto a idrogeno non è proponibile come sostituto delle attuali automobili, a che cosa dovrebbe servire? Per non dire del fatto che un impianto dell’ultra super freddo dovrebbe convivere a breve distanza, sulla stessa automobile, con una cella a combustibile che funziona alla temperatura di 800 / 1.000 C°.
Ma ci sono ancora altri problemi. Come facciamo a far arrivare l’idrogeno ai distributori? Se mantenessimo l’idrogeno allo stato gassoso bisognerebbe interrare migliaia di chilometri di tubi del diametro di un metro. Altrimenti dovremmo costruire delle tubature che tengano con sicurezza la pressione di 700 atmosfere, oppure che vengano mantenute per tutto il loro percorso ad una temperatura inferiore a – 253 C°. L’auto a idrogeno è davvero la cosa più folle e assurda che sia mai stata concepita!
Una delle ragioni per cui l’idrogeno viene preferito, è che non è un combustibile fossile. Ma questo significa che sulla Terra non ci sono giacimenti di questo gas. Mentre il gas naturale e il metano, da cui si può ricavare l’idrogeno, non vanno bene perché sono combustibili fossili. Questa però è la condizione perché siano disponibili!
Per il resto il metano è la cosa che più si avvicina all’idrogeno, perché la sua molecola è fatta di un atomo di carbonio e quattro di idrogeno: è quasi tutto idrogeno. Inoltre questo gas è pulito, produce molta meno anidride carbonica del carbone e del petrolio, è abbondante e quindi poco costoso. Però non lo si può usare perché è un combustibile fossile!
Neutralità climatica
Oggi 28 giugno 2021 in Europa la neutralità climatica è diventata legge. Molti saranno contenti: finalmente facciamo qualcosa di concreto contro il cambiamento climatico! In realtà, come dimostra la politica delle rinnovabili attuata finora, lo scopo non è diminuire le emissioni di gas serra o il tasso di CO2 atmosferico. Questo è solo il pretesto.
Il vero obiettivo dei partiti politici e dei movimenti ambientalisti che hanno imposto queste scelte non può che essere quello di fare il massimo danno all’economia.
I paesi emergenti, che ora possono permetterselo perché grazie alla loro crescita non sono più ricattabili, hanno sempre rifiutato queste assurdità. Quindi un costo che viene sostenuto solo dai paesi occidentali e che danneggia solo loro. Questa era la situazione fino a ieri.
Adesso sta iniziando l’era delle auto elettriche, che faranno crollare i consumi di energia e di petrolio dell’80% o più. Questa sì che è una buona notizia, per l’economia e per l’ambiente. Ma è una brutta notizia per chi vuole fare la guerra all’economia e per le multinazionali dell’energia.
Come faranno adesso a guadagnare? Per questo si sono inventate delle finte soluzioni al problema, vero o presunto, del riscaldamento globale, il cui unico scopo è di mantenere alto il costo dell’energia (“Tra il 2016 e il 2019, le cinque maggiori società quotate in borsa del settore petrolio e gas naturale – ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Chevron Corporation, BP e Total – hanno investito un miliardo di dollari in pubblicità e attività di lobby a favore delle energie rinnovabili e altre campagne incentrate sul clima.” (Michael Shellenberger “L’apocalisse può attendere” – pag. 250).
Ma il rovescio della medaglia sono i danni all’economia, tanto che in Italia la politica dei prezzi alti ha già provocato la crisi economica che dura dal 2008 e il raddoppio della disoccupazione.
La de carbonizzazione, che andrà ad aggiungersi alla follia delle rinnovabili, raggiungerà almeno lo scopo di diminuire il livello dell’anidride carbonica atomosferica? No perché, come per il passato, i paesi emergenti si guarderanno bene dall’adottare dei provvedimenti così penalizzanti. Figuriamoci se la Cina, l’India, la Russia, il Brasile ecc. decideranno di azzoppare le loro economie!
Quindi di nuovo una politica autolesionista che verrà adottata solo dai paesi occidentali, che saranno i soli a pagarne il prezzo. E di nuovo un prezzo altissimo in cambio praticamente di nulla. A questo punto i governi dei paesi occidentali devono scegliere se fare gli interessi delle multinazionali dei combustibili fossili o quelli del proprio paese.
Forse in giro ci sono ancora delle forze politiche che vogliono il bene del proprio paese. Ma allora come possono accettare questa politica inutile e incredibilmente costosa? E proprio adesso che stiamo cercando di uscire dall’emergenza sanitaria?
Un po’ di numeri
Finora l’Italia ha speso 300 miliardi di diversi anni fa per gli impianti eolici e fotovoltaici. Qui consideriamo solo gli impianti eolici, ma un discorso analogo può essere ripetuto per quelli fotovoltaici, costruiti in tutte le province della pianura padano - veneta dove i giorni di copertura nuvoloso ammontano al 70 / 80 % del totale.
Potenza nominale degli impianti eolici = 100
In Italia, paese poco ventoso, l’energia prodotta è minore del 20% della potenza nominale, cioè è pari al 19%.
Energia eolica prodotta nelle ore più profonde della notte, cioè quando non è utilizzabile: circa ¼ del 19% = circa 5%. L’energia eolica che rimane si riduce così al 14%. Un’energia però che viene prodotta in maniera discontinua e imprevedibile. Come fare per utilizzarla? Ci sono due modi:
Inoltre per utilizzare questa energia è stato necessario rifare molte linee elettriche perché potessero sostenere dei grossi sbalzi di tensione. Poi ci sono i costi imposti alle società elettriche, che sono costrette a comprare questa energia anche se non sanno cosa farsene, ed esse si rifanno aumentando le bollette delle famiglie, che ogni anno pagano per questo una decina di miliardi in più.
Bisogna ancora aggiungere il consumo del suolo, l’impatto visivo sul paesaggio, l’uccisione di migliaia di uccelli migratori e di miliardi di insetti che si fanno trasportare dal vento e che vanno a sbattere contro queste grandi eliche. Infine il costo del rinnovo di questi impianti e del loro problematico smaltimento ogni 25 anni.
La Germania ha chiuso le sue 19 centrali nucleari, già pagate e a emissioni zero di anidride carbonica, e per sostituirle ha speso 600 miliardi di Euro in impianti eolici, con condizioni di vento che probabilmente non sono migliori di quelle dell’Italia.
Poi, per compensare i cali del vento, ha riaperto delle centrali a carbone che, anche se sono modelli recenti, non possono avere rendimenti superiori al 41 o al 42 %. E le tiene sempre accese al minimo per poter aumentare istantaneamente la produzione di energia elettrica quando ce n’è bisogno.
Queste centrali a carbone producono dell’energia che deve essere compensata diminuendo la produzione in qualche altra centrale elettrica. Adesso le centrali elettriche sono quasi tutte a turbogas che bruciano metano e hanno rendimenti prossimi al 60%. Il carbone, a parità di calorie, rilascia il 150% in più di anidride carbonica rispetto al metano. Quindi in totale, considerando anche il loro rendimento, esse aumentano la produzione di CO2 di quasi il 180%!
Siamo sicuri, al di là dei costi astronomici, che questo sia il modo migliore di diminuire le emissioni di gas serra? Anche senza pensare al nucleare, non sarebbe stato meglio usare il calore di scarto delle centrali elettriche per scaldare case e uffici in inverno? Si sarebbe ottenuto molto di più con molto meno. Per non parlare delle auto elettriche che, se non saranno fermate, in una decina d’anni faranno crollare le importazioni e i consumi di petrolio e le conseguenti emissioni di anidride carbonica.
Infine distruggere delle risorse economiche ha delle conseguenze negative per l’ambiente perché, per produrre quei 600 miliardi (300 per l’Italia) l’economia ha dovuto girare, e quando gira esercita sempre un certo impatto ambientale e consuma sempre un po’ di energia, la cui produzione comporta l’emissione di anidride carbonica.
Però è proprio questa la politica che l’Europa ha imposto ai paesi membri e che è stata recepita nel capitolo II del PNRR anche dall’attuale governo di destra!
Energia eolica e fotovoltaica.
L’Europa si è data l’obiettivo di coprire il 20% della produzione di energia con le fonti rinnovabili entro il 2020. Questo obiettivo in termini di potenza installata è stato raggiunto grazie ai forti incentivi pubblici e ai costi impropri addossati alle famiglie, che in Italia pagano 10 miliardi Euro all’anno in più sulle bollette elettriche. Adesso l’obiettivo, da raggiungere entro il 2030, è stato portato al 32%.
Ma potenza installata non significa energia elettrica prodotta.
In Europa tra il 2003 e il 2007 la percentuale di tempo in cui gli impianti eolici funzionano alla massima potenza è stata inferiore al 21% (vedi l’articolo “Energia: l’illusione delle soluzioni facili” pubblicato da LeScienze nel mese di settembre 2012). In Italia, dove le condizioni di vento sono molto meno favorevoli tanto che non sono mai stati costruiti mulini a vento, questa percentuale dovrebbe essere più o meno dimezzata.
Inoltre “Alcune di queste fonti come il fotovoltaico richiedono, per costruire gli impianti, una quantità di energia superiore a quella che quegli impianti produrrebbero in tutta la loro vita e non dovrebbero essere prese in considerazione in un discorso ambientale serio” (vedi “Il caso Terra” di Paolo Saraceno - Mursia editore 2007 - pag. 216).
Per quanto riguarda poi gli impianti fotovoltaici presenti in tutte le province della pianura padano veneta, di energia ne producono ben poca perché i giorni di copertura nuvolosa sono il 70 / 80% del totale. E poi la produzione parte da zero alla mattina, raggiunge il picco a mezzogiorno e torna a zero alla sera. Ma non è questo l’andamento dei consumi elettrici. Inoltre la produzione dipende dalla presenza o meno delle nuvole, e quindi anch’essa è discontinua e imprevedibile.
Per rendere almeno in parte utilizzabile l’energia eolica e fotovoltaica, bisogna installare delle centrali di back up, che devono essere tenute pronte ad accendersi per quando cala il vento o il cielo si copre di nuvole. Ma esse hanno un rendimento molto più basso sia perché sono più piccole sia perché le normali centrali elettriche sono tutte a ciclo combinato a gas con rendimenti prossimi al 60%.
Inoltre di notte la domanda di energia elettrica crolla e le grosse centrali elettriche non possono essere spente alla sera per essere riaccese alla mattina, perche queste sono operazioni che durano delle ore e che logorano gli impianti. Per questo di notte vengono portate al minimo, ma anche così producono più energia di quella che viene consumata. Pertanto l’energia eolica prodotta nelle ore più profonde della notte non può essere usata neanche ricorrendo alle centrali elettriche di back up.
In Italia, considerando anche i costi indiretti, per eolico e fotovoltaico abbiamo già speso circa 300 miliardi di qualche anno fa, praticamente in cambio di nulla.
Del resto l’energia eolica non è conveniente nemmeno nel paese europeo che ha le migliori condizioni di vento. La Danimarca ha investito molto su questa fonte di energia. Ma anche lì vale il discorso che l’energia prodotta di notte è più dannosa che utile. Inoltre, dato che la quantità non è più insignificante, ogni volta che cala il vento, per non dover interrompere le forniture la Danimarca è costretta a comprare dell’energia elettrica dai paesi confinanti, senza alcun preavviso e ad effetto immediato, e quindi alle peggiori condizioni di mercato.
Questi problemi non ci sarebbero se si potesse immagazzinare l’energia elettrica a costi ragionevoli, in modo da poterla usare quando ce n’è bisogno. Purtroppo però non ci sono modi convenienti di immagazzinare grandi quantità di energia elettrica, nemmeno in un futuro prevedibile (vedi l’articolo di LeScienze “Imbrigliare il vento” del mese di maggio 2012).
Inoltre l’economia, per produrre le risorse economiche che sono state impiegate per queste fonti alternative, ha dovuto consumare dell’energia; energia che, insieme a quella consumata per fabbricare questi impianti, dovrebbe essere sottratta a quella utile prodotta. Alla fine cosa rimane? Il bilancio è sicuramente negativo. Inoltre sia gli impianti eolici che quelli fotovoltaici usano delle “terre rare” la cui produzione ha un grande impatto ambientale. E anche il loro smaltimento dopo 25 anni è molto problematico. Infine c’è il danno ambientale costituito da centinaia di torri di cemento, visibili da decine di chilometri di distanza, che deturpano il paesaggio, compresi siti archeologici di importanza mondiale come quello di Agrigento. Infine i finanziamenti pubblici hanno creato degli spazi per molte speculazioni, comprese quelle della mafia.
Biocombustibili
I biocombustibili e i biocarburanti sono un’altra assurdità. Nell’anno 2010 la produzione di biocombustibili negli Stati Uniti è stata pari a 49 miliardi di litri, a fronte di un consumo di 550 miliardi di litri di benzina e gasolio. Considerando che un litro di etanolo fornisce ad un veicolo solo i due terzi dell’energia prodotta da un litro di benzina, questa quantità rappresenta il 6% del fabbisogno di carburante. Un risultato che è stato ottenuto solo grazie ai massicci sussidi del governo americano. Per produrre questo etanolo viene usato il 40% del mais, con la conseguenza di far lievitare i prezzi delle derrate agricole e di creare un’enorme zona morta nel Golfo del Messico a causa della grande quantità di fertilizzanti impiegati (informazioni tratte dall’articolo “Biocombustibili: una promessa non mantenuta” pubblicato da LeScienze nel mese di ottobre 2011).
Secondo numerosi studi un litro di etanolo richiede più energia per essere prodotto di quanto ne fornisca durante la combustione, e anche negli studi più favorevoli il guadagno energetico è appena percettibile (vedi l’articolo di LeScienze: “Etanolo tra mito e realtà” pubblicato nel mese di aprile 2007).
Quindi di nuovo un contributo nullo al problema dell’energia, ma per il quale sono state impiegate enormi risorse naturali (13 milioni di ettari di terreno agricolo), a cui vanno aggiunti i sussidi governativi e il maggiore costo del mais pagato dai consumatori.
In realtà l’aumento del prezzo dei cereali è l’unica vera conseguenza di questa operazione, che si configura come una speculazione sui prezzi che ha preso a pretesto delle motivazioni ambientali per sottrarre dal mercato un’enorme quantità di prodotto.
Produrre l’etanolo dalla cellulosa potrebbe sembrare una soluzione migliore. Quantomeno non verrebbero distrutte delle derrate agricole. La campagna produce infatti una grande quantità di residui cellulosici che non possono essere usati nemmeno come mangimi. D’altra parte non è vero che questi residui vegetali sono inutili. Infatti sottrarre grandi quantità di residui vegetali che migliorano la qualità del suolo quando si decompongono, potrebbe accelerare il degrado del terreno e renderlo incapace di sostenere la crescita delle nuove colture. La conclusione è che anche con i residui vegetali non si potranno mai produrre grandi quantità di biocarburanti. Inoltre, nonostante che molti ci abbiano provato, nessuna azienda è riuscita finora a sviluppare un procedimento praticabile per una produzione industriale. Una produzione cioè che sia conveniente sia dal punto di vista economico che energetico.
Per quanto riguarda l’etanolo da canna da zucchero, la sua produzione sul piano economico si è dimostrata conveniente. Il Brasile qualche anno fa produceva 26,5 miliardi di litri di etanolo da zucchero di canna ogni anno, ma al prezzo di convertire grandi superfici di foresta tropicale in terreno per coltivazioni. Il danno ambientale è enorme, anche in termini di una maggiore produzione di anidride carbonica.
Infine le alghe. Le alghe hanno la capacità di sfruttare il triplo della radiazione solare e di produrre biomassa in maniera molto più efficiente del mais e della canna da zucchero, e possono essere irrigate con acqua di mare o liquami. Si potrebbero usare per queste coltivazioni anche delle aree desertiche. Ma il problema è la trasformazione delle alghe in etanolo. Nonostante gli investimenti e i contributi pubblici, le aziende del settore sono ancora molto lontane da una produzione industriale dal costo accettabile. Ecco in proposito il parere di Vinod Khosla, un investitore specializzato in tecnologie ambientali: “Prendiamo le tecnologie per l’estrazione di combustibili dalle alghe: ne ho viste decine, ma nessuna sostenibile dal punto di vista economico. E non è tutto: analizzando i costi, non ho mai visto un ipotetico punto di svolta che possa migliorare di cinque volte l’efficienza dei processi” (vedi l’intervista di Mark Fischetti pubblicata su LeScienze del mese di marzo 2011).
Auto a idrogeno
Infine un’altra grande utopia è quella dell’auto a idrogeno. L’idrogeno brucia combinandosi con l’ossigeno e produce solo qualche goccia di acqua calda. Per questo è diventato un’icona dell’ambientalismo.
Sull’auto a idrogeno sono state riposte molte speranze e sono stati fatti colossali investimenti (tutti pubblici!), stimabili in qualche centinaio di miliardi di dollari. L’idrogeno a bordo dell’auto verrebbe trasformato in energia elettrica in una cella a combustibile, un modo per arrivare all’auto elettrica.
Ma sulla Terra non ci sono giacimenti di idrogeno e questo gas bisogna ricavarlo da altre fonti. Il modo più economico è produrlo dal metano a costi quattro volte superiori e con una perdita del contenuto energetico di quasi il 50%.
Ma allora, perché non usare direttamente il metano? Altrimenti l’idrogeno può essere prodotto per elettrolisi, cioè scindendo le molecole dell’acqua nelle sue componenti, l’idrogeno e l’ossigeno. Ma serve molta pregiata energia elettrica.
Infine il vapore acqueo si scinde spontaneamente in idrogeno e ossigeno quando viene scaldato ad una temperatura di almeno 800 C°. Ma di nuovo occorre dell’energia in una forma pregiata e costosa, e circa la metà di essa servirebbe a produrre ossigeno. E poiché l’ossigeno ha un mercato limitato, anche qui metà dell’energia andrebbe perduta.
Ma l’idrogeno, oltre a dover essere prodotto da fonti di energia pregiate, è anche il mezzo meno adatto per immagazzinarla, dato che ha una bassa capacità energetica. E a rendere questo gas ancora più problematico, c’è il fatto che per essere liquefatto esso deve essere portato alla temperatura davvero bassa di –252,77 C°.
Liquefare l’idrogeno allo scopo di ridurne il volume è molto costoso ed è necessario un impianto di raffreddamento sofisticato, che a sua volta consuma molta energia. E un impianto che dovrebbe funzionare sempre in maniera impeccabile, anche quando l’auto è ferma. Perché se la temperatura dovesse superare anche di poco il limite del passaggio di stato, l’idrogeno passerebbe istantaneamente dallo stato liquido a quello gassoso e il suo volume aumenterebbe di decine di volte con un’immane esplosione.
Un altro modo per liquefare l’idrogeno è comprimerlo a 700 atmosfere, ma di nuovo è necessaria una grande quantità di energia. Inoltre l’idrogeno, anche liquefatto, a parità di energia occupa un volume cinque volte superiore a quello della benzina. Quindi è necessario un serbatoio molto grande, massiccio e pesante, perché possa contenere con sicurezza una simile pressione. E l’auto a idrogeno dovrebbe essere a sua volta sufficientemente grande e robusta per poter trasportare un tale peso e volume. Ma allora consumerebbe ancora più energia, avrebbe bisogno di un serbatoio ancora più grande ecc.
Poi, una volta caricato sull’auto, l’idrogeno dovrebbe essere trasformato in elettricità in una cella a combustibile, e l’elettricità così prodotta alimenterebbe il motore elettrico.
Il rendimento di questa trasformazione è di circa il 50%, e ciò significa che metà dell’energia andrà perduta (e a questo punto rimarrebbe solo un quarto dell’energia originaria del metano). Inoltre le celle a combustibile non solo sono dispositivi molto sofisticati e per adesso di costo proibitivo, ma la loro componente principale è la spugna di platino. E anche ammesso che tutti gli altri problemi possano essere risolti, semplicemente di platino non ce n’è abbastanza.
Il platino è un metallo molto più raro dell’oro. Se ne può trovare una quantità sufficiente per qualche prototipo, ma come si può pensare che ce ne sia abbastanza per centinaia di milioni di auto? E se l’auto a idrogeno non è proponibile come sostituto delle attuali automobili, a che cosa dovrebbe servire? Per non dire del fatto che un impianto dell’ultra super freddo dovrebbe convivere a breve distanza, sulla stessa automobile, con una cella a combustibile che funziona alla temperatura di 800 / 1.000 C°.
Ma ci sono ancora altri problemi. Come facciamo a far arrivare l’idrogeno ai distributori? Se mantenessimo l’idrogeno allo stato gassoso bisognerebbe interrare migliaia di chilometri di tubi del diametro di un metro. Altrimenti dovremmo costruire delle tubature che tengano con sicurezza la pressione di 700 atmosfere, oppure che vengano mantenute per tutto il loro percorso ad una temperatura inferiore a – 253 C°. L’auto a idrogeno è davvero la cosa più folle e assurda che sia mai stata concepita!
Una delle ragioni per cui l’idrogeno viene preferito, è che non è un combustibile fossile. Ma questo significa che sulla Terra non ci sono giacimenti di questo gas. Mentre il gas naturale e il metano, da cui si può ricavare l’idrogeno, non vanno bene perché sono combustibili fossili. Questa però è la condizione perché siano disponibili!
Per il resto il metano è la cosa che più si avvicina all’idrogeno, perché la sua molecola è fatta di un atomo di carbonio e quattro di idrogeno: è quasi tutto idrogeno. Inoltre questo gas è pulito, produce molta meno anidride carbonica del carbone e del petrolio, è abbondante e quindi poco costoso. Però non lo si può usare perché è un combustibile fossile!
Neutralità climatica
Oggi 28 giugno 2021 in Europa la neutralità climatica è diventata legge. Molti saranno contenti: finalmente facciamo qualcosa di concreto contro il cambiamento climatico! In realtà, come dimostra la politica delle rinnovabili attuata finora, lo scopo non è diminuire le emissioni di gas serra o il tasso di CO2 atmosferico. Questo è solo il pretesto.
Il vero obiettivo dei partiti politici e dei movimenti ambientalisti che hanno imposto queste scelte non può che essere quello di fare il massimo danno all’economia.
I paesi emergenti, che ora possono permetterselo perché grazie alla loro crescita non sono più ricattabili, hanno sempre rifiutato queste assurdità. Quindi un costo che viene sostenuto solo dai paesi occidentali e che danneggia solo loro. Questa era la situazione fino a ieri.
Adesso sta iniziando l’era delle auto elettriche, che faranno crollare i consumi di energia e di petrolio dell’80% o più. Questa sì che è una buona notizia, per l’economia e per l’ambiente. Ma è una brutta notizia per chi vuole fare la guerra all’economia e per le multinazionali dell’energia.
Come faranno adesso a guadagnare? Per questo si sono inventate delle finte soluzioni al problema, vero o presunto, del riscaldamento globale, il cui unico scopo è di mantenere alto il costo dell’energia (“Tra il 2016 e il 2019, le cinque maggiori società quotate in borsa del settore petrolio e gas naturale – ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Chevron Corporation, BP e Total – hanno investito un miliardo di dollari in pubblicità e attività di lobby a favore delle energie rinnovabili e altre campagne incentrate sul clima.” (Michael Shellenberger “L’apocalisse può attendere” – pag. 250).
Ma il rovescio della medaglia sono i danni all’economia, tanto che in Italia la politica dei prezzi alti ha già provocato la crisi economica che dura dal 2008 e il raddoppio della disoccupazione.
La de carbonizzazione, che andrà ad aggiungersi alla follia delle rinnovabili, raggiungerà almeno lo scopo di diminuire il livello dell’anidride carbonica atomosferica? No perché, come per il passato, i paesi emergenti si guarderanno bene dall’adottare dei provvedimenti così penalizzanti. Figuriamoci se la Cina, l’India, la Russia, il Brasile ecc. decideranno di azzoppare le loro economie!
Quindi di nuovo una politica autolesionista che verrà adottata solo dai paesi occidentali, che saranno i soli a pagarne il prezzo. E di nuovo un prezzo altissimo in cambio praticamente di nulla. A questo punto i governi dei paesi occidentali devono scegliere se fare gli interessi delle multinazionali dei combustibili fossili o quelli del proprio paese.
Forse in giro ci sono ancora delle forze politiche che vogliono il bene del proprio paese. Ma allora come possono accettare questa politica inutile e incredibilmente costosa? E proprio adesso che stiamo cercando di uscire dall’emergenza sanitaria?
Un po’ di numeri
Finora l’Italia ha speso 300 miliardi di diversi anni fa per gli impianti eolici e fotovoltaici. Qui consideriamo solo gli impianti eolici, ma un discorso analogo può essere ripetuto per quelli fotovoltaici, costruiti in tutte le province della pianura padano - veneta dove i giorni di copertura nuvoloso ammontano al 70 / 80 % del totale.
Potenza nominale degli impianti eolici = 100
In Italia, paese poco ventoso, l’energia prodotta è minore del 20% della potenza nominale, cioè è pari al 19%.
Energia eolica prodotta nelle ore più profonde della notte, cioè quando non è utilizzabile: circa ¼ del 19% = circa 5%. L’energia eolica che rimane si riduce così al 14%. Un’energia però che viene prodotta in maniera discontinua e imprevedibile. Come fare per utilizzarla? Ci sono due modi:
- Predisporre delle centrali di back up pronte ad accendersi quando cala il vento. Ma per potersi accendere istantaneamente devono essere piccole, e allora il loro rendimento non può superare il 25%.
- Costruire delle grosse centrali ad alta efficienza (a turbogas) e tenerle sempre accese al minimo in modo che possano aumentare istantaneamente la loro produzione quando ce n’è bisogno. E naturalmente anche queste, nelle ore più profonde della notte, producono dell’energia che rimane inutilizzata e che va sottratta a quella utilizzabile, che si riduce così a circa il 10% della potenza nominale degli impianti eolici.
Inoltre per utilizzare questa energia è stato necessario rifare molte linee elettriche perché potessero sostenere dei grossi sbalzi di tensione. Poi ci sono i costi imposti alle società elettriche, che sono costrette a comprare questa energia anche se non sanno cosa farsene, ed esse si rifanno aumentando le bollette delle famiglie, che ogni anno pagano per questo una decina di miliardi in più.
Bisogna ancora aggiungere il consumo del suolo, l’impatto visivo sul paesaggio, l’uccisione di migliaia di uccelli migratori e di miliardi di insetti che si fanno trasportare dal vento e che vanno a sbattere contro queste grandi eliche. Infine il costo del rinnovo di questi impianti e del loro problematico smaltimento ogni 25 anni.
La Germania ha chiuso le sue 19 centrali nucleari, già pagate e a emissioni zero di anidride carbonica, e per sostituirle ha speso 600 miliardi di Euro in impianti eolici, con condizioni di vento che probabilmente non sono migliori di quelle dell’Italia.
Poi, per compensare i cali del vento, ha riaperto delle centrali a carbone che, anche se sono modelli recenti, non possono avere rendimenti superiori al 41 o al 42 %. E le tiene sempre accese al minimo per poter aumentare istantaneamente la produzione di energia elettrica quando ce n’è bisogno.
Queste centrali a carbone producono dell’energia che deve essere compensata diminuendo la produzione in qualche altra centrale elettrica. Adesso le centrali elettriche sono quasi tutte a turbogas che bruciano metano e hanno rendimenti prossimi al 60%. Il carbone, a parità di calorie, rilascia il 150% in più di anidride carbonica rispetto al metano. Quindi in totale, considerando anche il loro rendimento, esse aumentano la produzione di CO2 di quasi il 180%!
Siamo sicuri, al di là dei costi astronomici, che questo sia il modo migliore di diminuire le emissioni di gas serra? Anche senza pensare al nucleare, non sarebbe stato meglio usare il calore di scarto delle centrali elettriche per scaldare case e uffici in inverno? Si sarebbe ottenuto molto di più con molto meno. Per non parlare delle auto elettriche che, se non saranno fermate, in una decina d’anni faranno crollare le importazioni e i consumi di petrolio e le conseguenti emissioni di anidride carbonica.
Infine distruggere delle risorse economiche ha delle conseguenze negative per l’ambiente perché, per produrre quei 600 miliardi (300 per l’Italia) l’economia ha dovuto girare, e quando gira esercita sempre un certo impatto ambientale e consuma sempre un po’ di energia, la cui produzione comporta l’emissione di anidride carbonica.
Però è proprio questa la politica che l’Europa ha imposto ai paesi membri e che è stata recepita nel capitolo II del PNRR anche dall’attuale governo di destra!