Biologia

PERCHE’ SIENO STATE CREATE LE MOSCHE

Chi avesse domandato ad Aristotile, perchè la natura abbia create le mosche, le vespe, i tafani, le zanzare, e altri tali animalucci tediosi, tengo per fermo, ch’egli avrebbe risposto, che questi sono animali creati dalla natura fuori d’intenzione: Onde si vede, che non ha loro preparata la spezie: ma si generano di putredine in certi tempi dell’anno, come pur fanno le cimici, le pulci, e altri di questa sorte, che alcuni chiamano naturae peccata. Nondimeno essendo proposizione antichissima accettata dalla nostra fede, che tutti gli altri animali siano creati in grazia dell’huomo, e a sua contemplazione, è da vedere se gli possano ad alcun buon’effetto servir le mosche, animale sovra tutti noioso, che di continuo l’infesta: e che a’ danni di lui nell’istessa scrittura sacra si vede impiegato per tormento da Dio, quando in copia sì grande furon mandate alle mense di Faraone.
Diciamo adunque, che le mosche, e le vespe, e altri tali animalucci noiosi, che volano per l’aria, non vengano immediatamente creati per servigio dell’huomo, facendo eglino più tosto contrario effetto, ma per cibo de gli uccelli, e di quelli in particulare, che havendo i piedi corti, e inabili a camminare, nè de’ semi della terra, nè de’ frutti de gli alberi si pascono, ma vanno per l’aria vagando in continuo volo, come tutte le spezie di Rondini: E questi poi hanno riguardo al comodo, e al gusto dell’huomo. Sine musca non potest hirundo vivere: disse lo Scaligero vecchio. Ma il Cardano ne’ suoi libri De subtilitate hebbe diversa, e strana opinione, dicendo, Musca ad ornamentum mundi facta est; et omnia sibi necessaria non solum ad vitam, sed ad beatam vitam sortita est; factaque est propter se, non ut esset homini infesta: quia quaedam perpetuo manet in nemoribus, et in quibusdam locis muschae non sunt, etc. Tutte falsità manifeste; imperochè nè le mosche di beatitudine sono capaci, nè per loro stesse sono create, nè per ornamento del mondo: non havendo la natura l’ornamento per fine, ma la perfezione. E che le mosche sieno moleste all’huomo in particulare, ciò viene per accidente:  perchè la mosca si ciba di sangue, e‘l sangue dell’huomo per la sottigliezza, e nudità della pelle è più agevole da esser succiato di quello degli altri animali.

BACHI DA SETA

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Prima dunque debbiamo supporre, che Aristotile, Plinio, e Pausania scrivessero d’una cosa, la quale per essere in terre lontane, e rara, essi medesimi non l’havesser veduta; ma n’havesser contezza da gente idiota, la quale come suole avvenire delle cose straniere, con la verità mischiasse molte bugie, da che poi nacque la manifesta diversità, che vediamo ne’ loro scritti sopra l’istessa materia, secondo che da diversi udiron parte del vero da molte favole accompagnato. Aristotile, che in credere andò più ritenuto, fu anche più sobrio in aggiugnere poesie; e più tosto mancò nel tacer molte cose, per non esser stato informato a bastanza. Dice egli adunque, favellando del Bombice di Coo, ch’egli nasce d’un verme grandicello, che ha due corna, e prima è ruca, poi si chiama bombice, e dopo, che ha tessuto diventa baco quasi senza vigore, e tutto questo dentro a sei mesi. Qui Aristotile non dice cosa, che non sia vera, applicandola al baco nostro in clima temperato; ma tralascia alcune necessarie circostanze; perciochè il baco da seta è vero, che nasce d’un altro verme, che ha due corna: ma era da dichiarare, che questo verme cornuto è di colore bianco, che pare infarinato, e peloso, e che ha l’ali, benchè non voli. Onde Plinio, Fieri autem primo papiliones parvos: e che congiungendosi maschio, e femmina, fa una moltitudine di piccolissime huova, come gli altri vermi, di color bigio, delle quali poscia la Primavera, mettendosi elle a covare a calor temperato nel seno delle donne, ne nascono quelle ruchette, che dice Aristotile; e si pascon di fronda di gelso finchè diventano bombici, o bachi da seta, come noi gli chiamiamo, mutando tre volte pelle. Indi, tessuti che hanno i bocci, racchiudendovisi dentro si raggruppano, e si fanno come una cosa invalida. Ma se a forza di sole non sono affatto seccati, ed estinti, in pochi giorni forano i bocci, e n’escono convertiti in quelle prime farfalle cornute, che rinovano il seme: Onde alcuni hanno tentato di farli nidificare due volte l’anno, e quanto a me credo, che nelle Provincie temperate possa effettuarsi.
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PERCHE’ SIANO STATE CREATE LE FOGLIE DEGLI ALBERI

Alcuni rivocando in dubbio quella generale proposizione accettata da tutte le scuole, che Dio, e la natura non hanno alcuna cosa creata in darno, potrebbono addimandare, perchè sieno state create le foglie degli alberi, le quali non apparisce, che servano ad altro, che a inutile ornamento, e per lo più una sola parte dell’anno. Aristotile nel 2. delle Piante al Capo 2. disse, che le foglie erano state create per riparo de’ frutti, il che toccò pur anco nel 6. del 2. dell’anima. E pare, che ciò molto bene si faccia conoscere nelle piante fruttifere, nelle quali le foglie riparano a’ frutti l’eccessivo calor del Sole la state, e i colpi della grandine, e fomentano la rugiada, che gli condisce. Ma de gli alberi, che non fruttano, o almeno non fanno frutto, che habbia bisogno di quel riparo, che si può dire? Gli antichi, per quello che Aristotile riferisce nel già citato luogo del 2. delle piante, chiamavano anco frutti le foglie. E veramente oltre che l’huomo si serve d’alcune di loro per condimento ne’ cibi, e per medicina, pare, che con quelle de gli alberi infruttuosi particolarmente la natura habbia preparato un soccorso alla greggia, e a gli armenti in difetto d’erbe, e di biade: del qual si vede, che i contadini, e pastori in molti luoghi si servono. Puossi aggiugnere ancora, che in certo modo ella havesse intenzione di provedere a gli uccelli di nascondigli, acciochè potessero assicurar se stessi, e i loro nidi dalle rapine, e dall’insidie de gli huomini: e tanto più apparirà, che le foglie delle piante infruttuose non hanno meno il fin loro di quello, che se l’habbiano tutte l’altre. Ma perchè alcune cadono il verno, e alcune altre no, la cagione viene dal freddo, il quale alle piante, che hanno la foglia assai umida, e la scorza debole, restringono l’umido a dentro: onde alla foglia manca il nutrimento, e si cade. Ma quelle, che hanno la scorza dura, e la foglia con poco umore, come il Cipresso, l’Abete, il Lauro, e tali, non si sfrondano il verno, perchè sono più calde, e secche, e resistono meglio al freddo, e ogni poco di nutrimento basta alla foglia loro. Servono anche le foglie de gli alberi a far ombra a gli Huomini stessi la state, e a riparar l’eccessivo calor del Sole.

PERCHE’ NON NASCONO PELI VERDI

Il Cardano havendo mosso questo quisito nel 4. lib. De subtilitate, il risolve, dicendo, che ciò veniva, Quia pilus densa substantia est et crassa, neque lucis capax. Onde lo Scaligero per così fatta soluzione il beffeggiò col dire: Che è l’istesso il domandare, perchè non si trovino animali con pelo verde, che il domandare, perchè non si trovino piante con foglie nere; e che i peli non sono altro, che piante; e le piante non son’altro, che peli verdi della terra; e che si trovano Scimie di color verde, e molti uccelli verdi, le cui piume non sono altro, che peli. Veramente egli non si può negare, che la ragion del Cardano non abbia dello sciapito; conciosia che se le sostanze dense non si colorassero in verde, gli smeraldi non sarebbono verdi; e se i capelli fossero incapaci di luce, non lucerebbono i biondi. Ma nè quello che lo Scaligero adduce merita al mio parer molto applauso: perciochè il dire, che i peli sian piante, perchè hanno simbolo con le piante, e piume, perchè hanno simbolo colle piume, è metafora più che poetica. Che parimente si trovino Scimie verdi, io non so alcuno, che ne vedesse giammai: e pure ho parlato con molti in Ispagna, che sono stati per l’Indie, e per l’Africa. Sonovi bene alcuni gatti Indiani, che hanno verde la pelle in alcuni luoghi, ma il pelo verde non già. Quello poi, ch’egli aggiugne delle foglie de gli albori, non iscioglie il quisito del Cardano, ma ne forma un’altro diverso. Laonde io direi quello, che ne’ suoi problemi disse Alessandro Afrodiseo trattando della cagione della canutezza de gli huomini, cioè, che’l pelo riceva il colore del nutrimento, e che pure non seppe negar lo Scaligero stesso nella particella 59. delle sue sottigliezze, allegando che per ciò le pulci de’ cani grassi biancheggiano, perchè si pascono di pinguedine. L’umor verde ne gli animali è feccia, ed escremento nocivo, e però ne’ pelosi la natura non lo trasmette alla pelle per non infettare il sangue, essendo che i peli non potrebbono succiarlo, ed asciugarlo tutto, ma il separa, e chiude nel fiele. Ma in alcuni uccelli, ne’ quali egli è più sottile, e la carne più porosa, ella il trasmette alla pelle, e lo smaltisce nelle piume loro, le quali ne succiano molto più, che non farebbono i peli, come ne’ pappagalli si vede. E perchè lo Scaligero opponendosi a questo, anzi a se stesso, allega l’esempio degli ebuli, i quali hanno il sugo nero, e nondimeno le foglie loro, che da quel sugo ricevono l’alimento, non sono nere, ma verdi; rispondesi, che la scorza delle piante nutrisce le foglie, e’l sugo del legno nutrisce i frutti; sì che non è maraviglia, se gli ebuli, che hanno la scorza verde, hanno anco verdi le foglie; perciochè il sugo dentro concorre al nutrimento de’ frutti; e per questo i frutti de gli ebuli sono nerissimi anch’eglino; e le ciriegie son rosse, perchè il sugo del legno è di quel colore, e le foglie son verdi, perchè l’umor della scorza verde è quello, che le nutrisce. Aristotile nel cap. 6. allegato di sopra del quinto della generazione de gli animali disse, che la varietà de’ peli, e delle penne procedeva dal color della pelle, che se la pelle era negra, anche le penne, e i peli erano negri, e se bianca bianchi; ma io sò certissimo contra la sua dottrina, chè le galline, e i porci neri hanno la pelle bianca; e che i beccafichi grassi, e gialli di pelle, non hanno le piume gialle.

PERCHE’ I CANI INCONTRANDOSI IN CAROGNE SECCHE, SOGLIANO GITTARSI IN TERRA, E STROFINARSI LOR SOPRA

Questa è cosa notissima, e chiara, nè credo che per la sua difficultà mai sia stata disaminata; imperciochè havendone io interrogati molti tenuti di gran sapere, tutti gli ho veduti ammutire. Ne’l dico già per presunzione, ch’io habbia, d’haverne io ritrovata la cagion vera: ma per accennare con questo esempio l’imbecillità, e fiacchezza del saper nostro, che pretende d’alzarsi sovra i Cieli, e di conoscer gl’impenetrabili segreti delle nature Divine, nè intende le qualità d’un cane, d’un’animale, che di continuo vive con esso noi, e che senza di noi non sa vivere. M’è stato addimandato più volte, perchè i cani nel coricarsi si raccolgano in giro, e perchè su’l lido del mare si rallegrino, e corrano. Queste sono cose leggieri. Il cane si raccoglie in giro nel coricarsi per tener più unito il calore, essendo animale di complessione che inclina al terreo, come altrove fu detto. E però nel fervor della state suole per lo più stendersi per lungo, perchè allora non ha bisogno di tener unito il calore; il che sogliono eziandio far le serpi.
Ma su’l lido del mare il cane corre, e saltella per allegrezza,; perchè essendo animale di sua natura inclinato a correre, ogni volta, che gli s’appresenta luogo atto per cotale suo instinto, se ne rallegra. E però non solamente arrivando su’l lido del mare sgombrato, e piano; ma in un prato spazioso, o in una aperta campagna, se ne rallegra, e saltella, e corre.
Ma perchè in arrivando ove sia qualche carogna secca, doppo haverla odorata, colla schiena, e col collo le si strofini sopra, questo è più difficil negozio da investigare. Noi abbattendoci in qualche tristo odore, gli voltiamo la schiena, e si scostiamo da lui, o ci turiamo con mano il naso. Il cane non ha mani, e non potendo turarsi il naso contra l’odor, che l’offende, può essere, che in quel cambio procuri di turar la carogna voltandole la schiena, e ricoprendola con essa; e per questo suole anche alle volte pisciarci sopra per ammorzare, cred’io, quell’odor cattivo. Io ho veduta una Lupa domestica, che si strofinava sopra certe ossa di Faggiano arrostito, e poi tornava a odorarle, ma non le mangiava, perchè quell’odor l’offendeva: dal che sono andato congietturando, che questi animali facciano tal effetto per forbire, e levare quel tristo odore con lo strofinamento del pelo, parendo lor forse, che dettrato quel vapor cattivo potrebbono servirsi di quella carogna per cibo. Et è da notare, che non fanno questo i cani, e i lupi sopra tutte le carogne, ma sopra solamente le secche; E può ciò avvenire, perchè il vapore delle cose umide corrotte non offenda lor tanto l’odorato, quanto quel delle secche.
Ma se l’odore gli offende, perchè non discostarsene? Questo dinota, che quivi è qualche altra cosa, che li trattiene. Il cane ha questa proprietà di trattenersi a gli odori delle carni, tristi, o buoni, che sieno; E però non sa ne anco scostarsi da quelli, che l’offendono, e si va loro strofinando sopra, e sbuffando col naso, perchè pur vorrebbe senza offesa sentirli, e con quello strofinamento si crede di levarli, o di correggere almeno la parte, che l’offende. Così l’intelletto nostro corre a tutti gli oggetti intelligibili, nè lascia di contemplare ancora gli orrendi, o sporchi di lor natura, benchè la volontà gli aborrisca, e se ne ritiri.
Aristotile disse, che niun animale, eccetto l’huomo, si prende degli odori gusto, o disgusto; ma questo bisogna intenderlo con la squadra di tant’altre sue cose; Poichè sappiamo per detto di lui medesimo, che molti altri animali si compiacciono dell’odore della Pantera: Che i topi si cacciano con l’odore dell’unghia di mulo arrostita: e le mosche con quello del solfo; E le serpi col galbano; E altri con altri, o s’allettano, o si discacciano, che saria lungo, e tedioso narrargli tutti.

PERCHE’ SI STANCHI PIU’ L’ANIMALE NEL CORRERE, CHE NELL’ANDAR DI PASSO

Aristotile  nella quinta parte de’ suoi Problemi fu di parere, che ciò procedesse dal sostentarsi maggior peso correndo, che nell’andar di passo, come chi corre sostenti se medesimo tutto sopra di sè, dove chi va piano, vada in un certo modo, come appoggiato. Io tengo, che ciò proceda dal moto violento, che si fa; imperciochè il correre eccede il moto naturale, non pur de gli huomini, ma di tutti gli animali, come fa anche il saltare; e tutti i moti eccessivi, e violenti, stancano l’animale, non havendo i nervi tanto vigore, che possano lungamente resistere a quell’eccesso. Potrebbesi anche dire, che quando l’huomo passeggia, vada in certo modo in equilibrio; e i corpi, che si sostentano in equilibrio, non lasciano sentire tutta la forza del peso loro; ma quando l’huomo corre, si disconcerta; e però i nervi aggravati, come da peso insolito, e da insolito moto, più agevolmente si stancano. E questa risposta è in qualche parte conforme a quella d’Aristotile; ma io stimo l’altra più comune, e più vera. Suolsi anche chiedere, perchè saltandosi d’alto, si salti più forte, che saltandosi in piano nel medesimo spazio: A che si risponde con due ragioni; la prima è, che saltandosi di alto a basso, l’impeto del salto vien secondato dalla condizione del moto, che di sua natura sempre conduce al centro le cose gravi; ma saltandosi in piano, si trova ripugnanza nel moto; perchè prima conviene, che’l corpo grave si sollevi da terra contra natura, il che toglie molto di forza al salto. La seconda ragione è, che chi salta in piano, sollevandosi prima, poi abbassandosi, salta per linea curva; ma chi da alto a basso si lancia, il fa per linea retta, e i capi della medesima linea incurvandola saranno sempre meno distanti, che lasciandola retta.

PERCHE’ LA RONDINE COSI’ DIMESTICA PER LE CASE NOSTRE, VENENDO RACCHIUSA IN GABBIA NON CANTI, E SUBITO SE NE MUOIA

Pitagora ne’ simboli suoi comandava fra l’altre cose, che non si desse ricetto alcuno alle Rondini; il che stando su le parole pare, che un so che di crudeltà rappresenti; cacciar dalle case nostre un uccelletto forestiere innocente, canoro, che con tanta confidanza viene ogn’anno di lontanissime parti a vederne, ad abitare con essi noi, e a partorire sotto l’arbitrio nostro i figliuoli suoi.
Ma il senso allegorico di Pitagora fu di cacciar dalle case nostre gli ingrati, i quali sotto finto aspetto vengono a ricever beneficio da noi, e a prevalersi delle cose nostre; e poi senza segno alcuno di gratitudine n’abbandonano, come la Rondine, la quale servendosi delle nostre abitazioni a nidificare, a partorire i figliuoli, e a nudirli sicuri non pur dal vento, e dalla grandine, ma da gli uccelli rapaci: allevati che gli ha, subito si parte senza voler più nostra conversazione, e senza lasciarne all’incontro segno alcuno di gratitudine: anzi se abbiamo dell’api, le ci divora; e se vogliamo tenerla a forza, perchè ne consoli col canto, maligna, e sconoscente non vuol cantare, nè per vezzi si piega, e più tosto, che viver con esso noi, si lascia morir di fame: venendo a visitarci nel buon tempo, e abbandonandoci nel cattivo. Ma la ragion naturale perchè la Rondine riserrata da noi se ne muoia, viene cred’io dall’esser ella uccello, che sta quasi di continuo su l’ali pascendosi di zanzare, di mosche, di farfalle, e d’altri simili vermi volanti, le quali due condizioni cagionano, che venendo ella chiusa in gabbia, subito se ne muoia, impero chè viene ad un medesimo tempo privata del cibo suo naturale, e del moto suo naturale. Plinio pose la Rondine Inter semifera animalia, la condizione de’ quali è di non mansuefarsi, nè dimesticarsi giammai più di quello, che’l naturale instinto lor somministri.