Paesi poveri: problema o opportunità?

In tema di ambiente e sviluppo, una delle convinzioni più radicate è che la crescita economica comporti un aumento senza limiti, e quindi insostenibile, della produzione di beni materiali. Quello che invece succede è che nel giro di solo qualche decennio i mercati dei beni materiali vengono saturati, e da allora la produzione non può più crescere in termini quantitativi e, a seconda dei casi, si stabilizza o si assesta su livelli più bassi. A crescere sono invece i servizi che, per essere costituiti da beni immateriali, comportano un consumo molto minore di risorse primarie. Questo è uno dei motivi che rendono un’economia matura molto più sostenibile. Nello stesso tempo, però, un’economia basata sui servizi è meno robusta e più volatile.

L’esempio più recente è la Cina. Il più grande paese del mondo ha ormai riempito dei propri prodotti sia il mercato interno che quello mondiale, e i dati degli ultimi anni parlano di un calo delle vendite. Anche la Cina, quindi, ha raggiunto o sta raggiungendo i suoi limiti di mercato, e per questo sta cercando di aumentare la qualità e il valore economico dei suoi prodotti. Ma anche così la sua economia non potrà più crescere ai ritmi del passato.

Cosa c’entra tutto questo con i paesi poveri? C’entra eccome, perché significa che gli unici paesi che possono ancora beneficiare di una crescita economica robusta sono proprio quelli poveri. E poiché l’Africa è la regione più povera del pianeta, è anche quella che ha le maggiori opportunità di crescita!

Ma cosa bisogna fare per cogliere questa opportunità e far uscire dalla povertà il continente africano? Intanto bisogna usare gli aiuti per promuovere davvero la crescita e lo sviluppo. Purtroppo finora gli aiuti internazionali sono stati usati per controllare le classi dirigenti dei paesi poveri, spesso ex colonie, e per vendere loro i propri prodotti, non sempre i più necessari, spesso delle armi. Il risultato è che, nonostante le ingenti somme trasferite, i paesi dell’Africa sono più che mai poveri e arretrati. La prima cosa da fare, quindi,è ripensare la politica degli aiuti per chiudere definitivamente l’epoca coloniale e dotare i paesi poveri delle infrastrutture e delle leggi che migliorano il contesto generale e favoriscono un autonomo processo di crescita.

I paesi sviluppati hanno una quantità di infrastrutture che tutti consideriamo indispensabili: strade e autostrade, ponti, ferrovie, argini, canali, fognature, centrali elettriche, reti di distribuzione dell’acqua, della luce, del gas ecc. L’Africa non ha quasi nulla di tutto questo. Per esempio, la situazione di strade e ferrovie è più o meno ancora quella dell’epoca coloniale. Ma come fa un paese a svilupparsi senza vie di comunicazione? Quindi gli aiuti dovrebbero essere legati a progetti. E il progetto potrebbe essere, per esempio, una strada, praticabile in tutte le stagioni, per far uscire dall’isolamento un’intera regione.

Ma poi ci vogliono anche le “infrastrutture” legislative. In particolare sono fondamentali la tutela da parte dello Stato del diritto di proprietà e una regolamentazione dell’economia tagliata su misura. Per esempio non si possono trasferire le leggi di un paese europeo alla Tanzania: sarebbe come pretendere di applicare le leggi di oggi all’Italia del 1800. L’economista Hernando de Soto ha studiato qualche tempo fa proprio la Tanzania, e ha scoperto che il 98% delle attività economiche erano in nero! Evidentemente erano le leggi ad essere inadeguate. Per quanto riguarda poi i diritti di proprietà, lo stesso de Soto osservava che in quasi tutti i paesi africani i diritti di proprietà erano arbitrari e incerti perché non avevano il riconoscimento dello Stato (e oggi la situazione non dovrebbe essere cambiata di molto). La conseguenza è che le proprietà non potevano essere date in garanzia per ottenere un prestito dalla banca (e la situazione da allora non è molto cambiata). Ma nei paesi sviluppati la maggior parte delle attività economiche sono finanziate con prestiti garantiti da proprietà immobiliari. Secondo de Soto in Africa nell’anno 2000 c’erano 1.000 miliardi di dollari di capitale morto, cioè che non poteva essere usato per chiedere prestiti. Si può solo immaginare quale spinta riceverebbe l’economia africana se questo problema venisse risolto. La tutela del diritto di proprietà da parte dello Stato servirebbe anche ad evitare l’esproprio dei terreni migliori da parte dei grossi gruppi economici, e costituirebbe una fonte di entrate per lo Stato stesso.

Ma un contributo alla crescita economica potrebbe venire anche dai privati. Sono molte le associazioni umanitarie che operano in Africa, e a volte si chiedono cos’altro potrebbero fare oltre a costruire una scuola o un ospedale. Una cosa che potrebbero fare è replicare le iniziative che hanno già avuto successo. Per esempio in Kenya c’è una ditta che produce e vende piantine sane per sostituire le piante di banano infestate da un virus che distrugge quasi tutto il raccolto. Questa iniziativa, creata dalla biologa Florence Wambugu che in passato aveva cercato di usare l’ingegneria genetica, ma che era stata fermata dai divieti, ha già liberato dalla povertà decine di migliaia di famiglie di agricoltori. Ecco quindi un’idea utile per molti altri paesi africani, anche se con l’ingegneria genetica si potrebbe ottenere molto di più.

Un’altra idea che ha funzionato riguarda il rimboschimento delle foreste costiere di mangrovie, un ecosistema importante che è anche una risorsa economica. E poi si potrebbero sperimentare delle nuove soluzioni. Per esempio si potrebbe tentare di allevare qualche specie adatta di tartarughe come alternativa all’allevamento dei bovini. Oltre alla carne si otterrebbe un prodotto di grande valore come il guscio di tartaruga, e in più verrebbe alleggerita la pressione della caccia sugli animali della foresta.

Una volta eliminati gli ostacoli alla crescita, i paesi poveri entrerebbero in una fase di boom economico che le economie mature non possono più conoscere. Proprio i paesi poveri, quindi, potrebbero dare un grosso contributo all’economia mondiale. Un motivo in più per aiutarli a crescere.