DESTRA E SINISTRA?
L’errore storico del marxismo.
Al centro del tema ambiente e sviluppo c’è il nostro giudizio sulla società moderna, che non è la causa della povertà e delle ingiustizie sociali come pretende il marxismo, ma al contrario l’unico rimedio.
Marx non ha capito la crescita economica moderna e il lavoro di economisti come Adam Smith e David Ricardo, i quali hanno dimostrato i vantaggi della specializzazione produttiva e del commercio.
Marx afferma, senza però dimostrare nulla, che c’è una contrapposizione di interessi tra i “capitalisti” che li sfruttano e i lavoratori che vengono sfruttati, e accusa la società moderna - capitalista di essere la causa delle ingiustizie sociali.
In realtà i capitalisti, che sarebbe meglio chiamare imprenditori, svolgono un ruolo fondamentale per l’economia e per la creazione dei posti di lavoro, perché sono pochi quelli che riescono ad inventarsi dei beni e dei servizi e ad organizzarne la produzione e la vendita in un mercato competitivo (cosa che non riesce a fare uno stato sovietico).
E non è nemmeno vero che c’è un radicale contrasto di interessi tra imprenditori e lavoratori come in natura tra predatori e prede, perché ci deve sempre essere equilibrio tra la produttività e quello che l’imprenditore spende per il lavoro e gli altri strumenti della produzione. Un imprenditore non può pagare né molto di più né molto di meno per i vari fattori della produzione rispetto alla produttività, che siano macchinari o forza lavoro, perché in ambedue i casi andrebbe fuori mercato e sarebbe costretto a chiudere. Una volta per mietere il grano c’erano delle file di operai con un falcetto in mano. Oggi un solo operatore con una mietitrebbiatrice sostituisce centinaia di operai agricoli di cento anni fa. E’ evidente che questi mietitori dotati solo di un falcetto non potevano essere pagati molto, perché il loro lavoro era poco produttivo, a differenza dell’operatore di una grossa macchina. Quindi l’unica condizione per aumentare sia i profitti dell’imprenditore che le retribuzioni (reali) dei lavoratori dipendenti è la produttività.
Eppure il marxismo, che accusa gli imprenditori di sfruttare i lavoratori, ha avuto una grande fortuna perché anche nella nostra società ci sono i poveri e i ricchi e viene naturale accusare questi ultimi di essere la causa della povertà degli altri. Però gli imprenditori sono diversi dai ricchi di una volta. Infatti essi sono diventati ricchi grazie al loro lavoro e reinvestono i loro capitali in attività produttive di cui beneficia tutta la società, mentre i nobili dovevano la loro ricchezza alla rendita fondiaria e la spendevano in beni di lusso o per costruire chiese e palazzi.
La storia di Ferrara può insegnarci qualcosa.
Se leggiamo l’Istoria di Ferrara di Girolamo Baruffaldi (1675 – 1753) che copre il periodo che va dall’anno 1655 all’anno 1700, possiamo toccare con mano la differenza tra il mondo antico e quello moderno.
Nel 1598 gli Este se ne erano andati da Ferrara per essere sostituiti dallo Stato della Chiesa e dai legati pontifici. Il potere era nelle mani delle famiglie nobili e dell’alto clero, che erano i soli a possedere la terra, la principale e quasi unica fonte di reddito.
Questa era la situazione anche nell’epoca romana, quando le attività artigianali e il commercio erano all’ultimo posto della scala sociale. All’inizio del secondo impero Diocleziano creò le corporazioni di arti e mestieri, allo scopo di rendere gli appartenenti a queste categorie solidali nel pagamento delle tasse.
Poi con la fine dell’impero crollò l’intera società civile e nei secoli bui del Medioevo la Chiesa e le corporazioni furono le uniche istituzioni che riuscirono a sopravvivere.
Nelle città le corporazioni presero il controllo della politica: è l’epoca dei Comuni che si autodefinivano repubbliche perché le loro istituzioni di governo si ispiravano a quelle della repubblica romana. Nelle campagne vigeva invece il diritto feudale, dato che erano i nobili a possedere la terra.
In Italia ai Comuni subentrarono le Signorie che, come quella degli Este a Ferrara, cercavano di accumulare ricchezza, potere e tesori. Però per lo più esse conservarono le istituzioni amministrative comunali e sostennero le attività economiche cittadine, perché avevano capito che avrebbero potuto ottenere di più dai dazi e dalle tasse.
Con questa politica la città di Ferrara, che controllava le vie di commercio fluviali della Pianura Padana prima del loro sbocco in mare, raggiunse una relativa prosperità e crebbe di dimensioni. Però siamo ancora molto lontani dalla società moderna, perché mancavano le tecnologie di oggi e delle adeguate fonti di energia,
e la grande maggioranza della popolazione rimaneva molto povera.
Gli Este e la stessa città di Ferrara accumularono immensi tesori e collezioni d’arte, anche se alla fine questo patrimonio andò quasi tutto perduto o disperso. E anche i monumenti più importanti nel corso dei secoli sono andati distrutti (quasi tutti) o sono stati gravemente manomessi.
Quando lo Stato della Chiesa sostituì la signoria estense, mantenne le istituzioni cittadine dell’epoca comunale, ma era meno interessato alle attività artigianali e al commercio, che erano considerate di importanza minore rispetto all’agricoltura dalla quale i nobili e l’alto clero traevano le loro rendite. E gli artigiani, come nell’epoca romana, erano di nuovo finiti all’ultimo posto della scala sociale.
Le difficoltà dell’economia erano aggravate dal clima molto rigido. Nella seconda metà del Seicento siamo nel culmine della “piccola glaciazione” e spesso il Po, il Reno e i fiumi della Romagna esondavano perché in inverno faceva molto freddo, nelle montagne si accumulava molta neve, che poi tra aprile e giugno si scioglieva e andava ad aggiungersi alle piogge primaverili, come racconta il Baruffaldi a pag. 274 e 425 della sua Istoria.
Per questo motivo lo Stato della Chiesa faceva tutto quello che poteva per rafforzare gli argini dei fiumi, anche se con scarsi risultati, mentre ci vollero decenni prima che trovasse le risorse per scavare il Po di Volano, il canale che collega il Po Grande al mare passando per Ferrara, che si era interrato e non era più navigabile. L’interruzione della navigazione aveva creato enormi difficoltà all’economia cittadina. Per tutti questi motivi la situazione peggiorò al punto che, come ci racconta il Baruffaldi a pag. 196 dell’Istoria, la popolazione al tempo degli ultimi principi estensi era due terzi più numerosa che alla sua epoca. Il che equivale a dire che nel primo secolo di dominio dei Papa – Re, la popolazione di Ferrara era diminuita del 40%.
La miseria era sotto gli occhi di tutti, ma gli unici rimedi conosciuti erano le processioni e le elemosine. I buoni sentimenti sono sempre importanti, però con le elemosine il volume dell’economia non aumenta e, tenendo conto della crescita demografica, la povertà non può diminuire.
In questo contesto i nobili, che spesso disponevano di grossi capitali, li impiegavano per consumi di lusso, per costruire chiese e palazzi o per organizzare spettacoli teatrali e tornei cavallereschi, a volte con macchine sceniche costosissime, allo scopo di aumentare il loro prestigio e ottenere altri privilegi. E questo anche quando la gente moriva di fame o di freddo.
Con la diminuzione dei suoi abitanti anche il centro storico si ridusse di dimensioni, perché le case e i palazzi “dirupati” - perché in stato di abbandono - venivano demoliti forse per non pagarci sopra delle tasse. Infine anche i suoi famosi teatri furono tutti distrutti da incendi.
Questa difficile situazione sociale ed economica, però, non era esclusiva dello Stato della Chiesa, ma riguardava tutto il vecchio sistema di potere – quello che i francesi chiamano ancien regime - costituito dalle monarchie e dalle classi nobili (fa eccezione l’Inghilterra da Enrico VIII in poi, che aveva venduto i beni della Chiesa e creato una nuova classe di proprietari terrieri diversa da quella nobile).
Nella società moderna invece giocano un ruolo fondamentale gli imprenditori, che il marxismo chiama “capitalisti” che però, a differenza dei nobili del passato, reinvestono i loro capitali in attività produttive, cosa di cui beneficiano l’economia e la società.
Con la Rivoluzione francese e con il passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale la società feudale è stata sostituita da quella moderna. Negli ultimi due secoli essa ha abolito i titoli nobiliari e la schiavitù, non solo in Europa ma in tutto il mondo, e ha innalzato il livello di vita al punto che la sua lunghezza è triplicata. Il marxismo però ignora, anzi rovescia questi fondamentali dati storici e mette sotto accusa e combatte proprio la società moderna.
La guerra contro la società moderna.
Le forze politiche che si ispirano al marxismo hanno capito che con il pretesto dell’ambiente si può far passare qualsiasi cosa, anche la più assurda. Per questo hanno strumentalizzato i temi ambientali per imporre delle finte soluzioni il cui vero scopo è fare il massimo danno all’economia “capitalista”.
Da molto tempo vengono lanciati degli allarmi sul clima. Le emissioni antropiche di anidride carbonica starebbero provocando un catastrofico surriscaldamento del pianeta, che potremo scongiurare solo sostituendo le normali centrali elettriche con le costosissime e inutili “energie alternative”, cioè con eolico, fotovoltaico, biocarburanti e idrogeno, mentre sono state criminalizzate e bloccate proprio le soluzioni migliori che abbiamo per sostituire i combustibili fossili, a partire dall’energia nucleare.
La politica energetica “alternativa” di questi anni, basata su dei presupposti sbagliati e da attuare solo con delle finte e costosissime non soluzioni, ha già distrutto nel nostro Paese risorse economiche per circa 350 miliardi, ha aumentato di tre o quattro volte il prezzo dell’energia e ha impoverito tutta la società civile. Eppure questo è ancora nulla rispetto a quello che dovremmo ancora spendere in base all’Accordo di Parigi firmato da quasi tutti i paesi occidentali per “decarbonizzare” l’economia (vedi l’articolo Reimpostare la discussione sul clima).
Come si concilia questa guerra con il fatto che molte associazioni di sinistra sono impegnate nelle più diverse attività sociali, che vanno da iniziative a favore dei disabili o delle persone in difficoltà, all’organizzazione di eventi sportivi per i bambini e i giovani ecc.?
Il volontariato per fini filantropici o caritativi una volta era appannaggio delle organizzazioni cattoliche e delle parrocchie, ma oggi è sempre più spesso un’attività “di sinistra”. In effetti essere di sinistra vuol dire condividere delle istanze di giustizia e uguaglianza sociale e molti sono disposti a spendere molto del loro tempo e delle loro energie per questi scopi benefici.
Ma c’è una forte contraddizione tra l’attenzione per i problemi sociali e la guerra dichiarata dal marxismo contro la società moderna, cioè contro la società stessa in cui viviamo. Essere di sinistra, infatti, vuol dire condividere l’ideologia che accusa la società moderna - capitalista di essere la causa delle ingiustizie sociali. E quindi anche approvare la condanna dello sviluppo, la strumentalizzazione dei temi ambientali e l’allarmismo sul clima, che sono gli strumenti o le armi di questa guerra.
Una guerra alla società moderna che ha già causato danni enormi, che vengono pagati prima di tutto dalle classi sociali più deboli. Una guerra che ha fatto danni ancora maggiori ai paesi più poveri del mondo e che per esempio ha ritardato di oltre trent’anni la crescita dell’Africa per uscire dalla povertà.
Altrettanto dannoso per la società è l’incitamento all’odio “di classe” verso le altre parti politiche o i governi “nemici”, perché il funzionamento di qualsiasi società si basa sulla collaborazione, anche se la competizione non scompare mai. Così come è anti democratica e anti sociale la condanna per partito preso di qualsiasi decisione dei governi di destra, a cui di fatto non viene riconosciuta la legittimità a governare. Infine è anti democratico e quindi anti sociale anche il rifiuto del modello bipolare per far sì che siano gli elettori a scegliere direttamente i governi e per dare finalmente all’Italia una democrazia compiuta.
Insomma c’è una grossa contraddizione tra l’impegno volontaristico di molte associazioni di sinistra e questa guerra contro la società capitalista. Una guerra sbagliata fatta per motivi sbagliati, perché la società moderna, è meglio chiamarla così invece che capitalista, è l’unico modello sostenibile sia sul piano sociale che ambientale mai comparso nella storia umana, come questo sito ha ampiamente dimostrato.
Nel corso degli ultimi tre secoli essa ha migliorato le condizioni di vita al punto che la sua lunghezza in media mondiale è triplicata. Ha abolito la nobiltà e la schiavitù e sta mettendo sotto controllo la crescita demografica esponenziale anche su scala globale, che era la causa che rendeva inevitabili sia la miseria assoluta che le disparità sociali infinite di tutte le altre epoche.
La società moderna ci ha anche regalato un grande aumento della conoscenza che abbiamo del mondo: della natura, di noi stessi e dell’universo. Anche per questo è difficile per noi oggi immaginare le condizioni di vita, molto peggiori delle nostre, anche solo di pochi secoli fa (vedi per esempio la pagina “La scienza prima di Galilei e Newton”).
Infine la società in cui viviamo, contrariamente a quello che molti pensano, è anche l’unica sostenibile sul piano ambientale, e lo sarebbe ancora di più se le soluzioni migliori che abbiamo per i principali problemi di oggi non fossero state ostacolate o impedite per non fare regali alla società capitalista.
Destra o sinistra?
Ma questo cosa significa, che dovremmo votare tutti per la destra?
In realtà quello che dobbiamo chiederci non è se siamo di destra o di sinistra, ma se siamo a favore o contro la società moderna. Perché sia a destra che a sinistra ci sono delle posizioni favorevoli e contrarie alla società moderna, come dimostra l’attuale Amministrazione americana, sicuramente di destra, che sta prendendo lezioni di liberalismo niente meno che dalla Cina.
L’amministrazione precedente, intrisa di idee antisviluppo, insieme all’Europa aveva fatto di tutto per impedire lo sviluppo dei paesi più poveri, per esempio rifiutando di finanziare la costruzione delle infrastrutture e delle centrali elettriche, a meno che non fossero impianti eolici e fotovoltaici. Su questo punto Trump, molto critico verso il green deal, ha un approccio migliore, ma per il resto la sua politica non sembra ispirarsi ai principi liberali.
Infatti il neo eletto presidente americano si è subito schierato dalla parte della Russia di Putin, un dittatore guerrafondaio, e contro la Cina che deve la crescita straordinaria di questi anni allo sviluppo della sua economia e non alle guerre di conquista. Inoltre Trump sta imponendo forti dazi sui prodotti europei, su quelli cinesi e anche sui beni fabbricati nei paesi più poveri del mondo.
L’industria manifatturiera dei paesi poveri, ad alta intensità di manodopera e a bassa intensità di capitali, è più competitiva per via delle basse retribuzioni che a loro volta sono dovute alla bassa produttività. Aumentare i dazi non farà tornare in America nemmeno un posto di lavoro. Inoltre molti beni di consumo finiranno per costare molto di più ai consumatori europei e americani. Infine non bisogna dimenticare che queste attività manifatturiere sono fondamentali per i paesi poveri, perché sono il primo passo sulla strada dello sviluppo e dell’uscita dalla povertà.
Dalle amministrazioni americane, sia di destra che di sinistra, ci si sarebbe aspettata una politica a favore dello sviluppo dei paesi più poveri, se non altro perché lo sviluppo è la prima condizione per la pace e la sicurezza. Ma anche perché promuovere lo sviluppo di questi paesi è una politica lungimirante anche dal punto di vista economico. Infatti sono proprio i paesi più poveri del mondo che hanno davanti a loro il più lungo periodo di robusta crescita economica, e aiutarli in questa fase critica è anche un investimento che alla fine darà i suoi frutti (vedi l’articolo Paesi poveri: problema o opportunità?).
Il Congo è il paese più grande dell’Africa centrale e anche il paese più grande del mondo che ancora non ha iniziato un percorso di crescita. E’ ricco di giacimenti di gas naturale e anche di corsi d’acqua adatti per degli impianti idroelettrici. Eppure i suoi cento milioni di abitanti hanno come unica fonte di energia la legna da ardere, che si procurano tagliando gli alberi della foresta. E dato che la legna non può alimentare un’economia moderna, il Congo è ancora un paese disperatamente povero. La responsabilità è della Banca Mondiale dell’ONU e dei paesi ricchi dell’Europa e dell’America, che da anni cercano di imporre a questo paese le costosissime e inaffidabili energie alternative e si rifiutano di finanziare le centrali idroelettriche e a gas, nonostante che esse si ripagherebbero da sole con l’energia elettrica prodotta.
Invece la Cina, con la politica delle nuove vie della seta, ha creato in Africa 85 milioni di posti di lavoro (ma non in Congo perché manca l’energia!) e sta costruendo molte delle infrastrutture di cui questo continente ha un disperato bisogno. Lo sta facendo per i suoi interessi e per ampliare la propria sfera di influenza, ma con questa politica ha dato la spinta decisiva allo sviluppo del continente africano.
Inutile lamentarsi adesso dello strapotere del dragone cinese e poi cercare di colpirlo con dei dazi che soffocano il commercio e danneggiano tutti. E preferirgli addirittura la Russia di Putin, con il risultato di spingere la Cina verso la Russia e convincere Putin a continuare la sua guerra contro l’Ucraina!
Bisogna riconoscere alla Cina il merito storico di avere dato una spinta decisiva allo sviluppo dell’Africa, che era stato ritardato di oltre trent’anni dall’ideologia anti sviluppo e fare concorrenza al grande paese asiatico negli aiuti allo sviluppo. E bisogna anche cercare migliorare i rapporti con la Cina e con tutte le altre grandi potenze.
Lo sviluppo è così importante, e ci vuole così poco per dargli una spinta, che potrebbe farlo anche un paese come l’Italia. Il governo Meloni ha varato il Piano Mattei per aiutare lo sviluppo di diversi paesi africani, tra cui il Congo, allo scopo di prevenire l’immigrazione irregolare. Ma è lo sviluppo stesso che dovrebbe diventare il principale obiettivo di questa politica.
E dato che si sta parlando dello sviluppo dell’Africa, questo sito ha rilanciato una proposta per una produzione di carne alternativa all’allevamento dei bovini, adatta ai paesi tropicali ricchi i foreste, paludi e corsi d’acqua ma poveri di terreni da pascolo e che non costerebbe quasi nulla (vedi la voce “allevare animali da carne diversi dai bovini” nell’articolo Un programma per qualsiasi governo).
Un’analisi del tema ambiente e sviluppo basata sui dati della realtà.
Per concludere la sinistra dovrebbe abbandonare l’interpretazione anti storica del marxismo, che sta alla base della sua guerra ideologica contro la società moderna. E tutti i governi, sia di destra che di sinistra, dovrebbero evitare di indebolire le democrazie distruggendo delle altre immense risorse economiche così come previsto dall’Accordo di Parigi per decarbonizzare il mondo. E investirle invece sulle tecnologie migliori che abbiamo per sostituire il carbone e il petrolio, perché inquinanti, e finanziare la ricerca sulle tecnologie strategiche come le batterie delle auto elettriche, per non lasciarne il monopolio alla Cina o addirittura alla Russia. Infine ambedue gli schieramenti politici dovrebbero farsi concorrenza sulle politiche per rilanciare l’economia e rafforzare ciascuno dei tre pilastri che sostengono la società moderna, che sono la rivoluzione scientifica e tecnologica, l’economia di mercato e la libertà. Perché la società in cui viviamo non é la causa di ogni male, ma l’unico modello sostenibile sul piano sociale e ambientale mai comparso nella storia umana.
Al centro del tema ambiente e sviluppo c’è il nostro giudizio sulla società moderna, che non è la causa della povertà e delle ingiustizie sociali come pretende il marxismo, ma al contrario l’unico rimedio.
Marx non ha capito la crescita economica moderna e il lavoro di economisti come Adam Smith e David Ricardo, i quali hanno dimostrato i vantaggi della specializzazione produttiva e del commercio.
Marx afferma, senza però dimostrare nulla, che c’è una contrapposizione di interessi tra i “capitalisti” che li sfruttano e i lavoratori che vengono sfruttati, e accusa la società moderna - capitalista di essere la causa delle ingiustizie sociali.
In realtà i capitalisti, che sarebbe meglio chiamare imprenditori, svolgono un ruolo fondamentale per l’economia e per la creazione dei posti di lavoro, perché sono pochi quelli che riescono ad inventarsi dei beni e dei servizi e ad organizzarne la produzione e la vendita in un mercato competitivo (cosa che non riesce a fare uno stato sovietico).
E non è nemmeno vero che c’è un radicale contrasto di interessi tra imprenditori e lavoratori come in natura tra predatori e prede, perché ci deve sempre essere equilibrio tra la produttività e quello che l’imprenditore spende per il lavoro e gli altri strumenti della produzione. Un imprenditore non può pagare né molto di più né molto di meno per i vari fattori della produzione rispetto alla produttività, che siano macchinari o forza lavoro, perché in ambedue i casi andrebbe fuori mercato e sarebbe costretto a chiudere. Una volta per mietere il grano c’erano delle file di operai con un falcetto in mano. Oggi un solo operatore con una mietitrebbiatrice sostituisce centinaia di operai agricoli di cento anni fa. E’ evidente che questi mietitori dotati solo di un falcetto non potevano essere pagati molto, perché il loro lavoro era poco produttivo, a differenza dell’operatore di una grossa macchina. Quindi l’unica condizione per aumentare sia i profitti dell’imprenditore che le retribuzioni (reali) dei lavoratori dipendenti è la produttività.
Eppure il marxismo, che accusa gli imprenditori di sfruttare i lavoratori, ha avuto una grande fortuna perché anche nella nostra società ci sono i poveri e i ricchi e viene naturale accusare questi ultimi di essere la causa della povertà degli altri. Però gli imprenditori sono diversi dai ricchi di una volta. Infatti essi sono diventati ricchi grazie al loro lavoro e reinvestono i loro capitali in attività produttive di cui beneficia tutta la società, mentre i nobili dovevano la loro ricchezza alla rendita fondiaria e la spendevano in beni di lusso o per costruire chiese e palazzi.
La storia di Ferrara può insegnarci qualcosa.
Se leggiamo l’Istoria di Ferrara di Girolamo Baruffaldi (1675 – 1753) che copre il periodo che va dall’anno 1655 all’anno 1700, possiamo toccare con mano la differenza tra il mondo antico e quello moderno.
Nel 1598 gli Este se ne erano andati da Ferrara per essere sostituiti dallo Stato della Chiesa e dai legati pontifici. Il potere era nelle mani delle famiglie nobili e dell’alto clero, che erano i soli a possedere la terra, la principale e quasi unica fonte di reddito.
Questa era la situazione anche nell’epoca romana, quando le attività artigianali e il commercio erano all’ultimo posto della scala sociale. All’inizio del secondo impero Diocleziano creò le corporazioni di arti e mestieri, allo scopo di rendere gli appartenenti a queste categorie solidali nel pagamento delle tasse.
Poi con la fine dell’impero crollò l’intera società civile e nei secoli bui del Medioevo la Chiesa e le corporazioni furono le uniche istituzioni che riuscirono a sopravvivere.
Nelle città le corporazioni presero il controllo della politica: è l’epoca dei Comuni che si autodefinivano repubbliche perché le loro istituzioni di governo si ispiravano a quelle della repubblica romana. Nelle campagne vigeva invece il diritto feudale, dato che erano i nobili a possedere la terra.
In Italia ai Comuni subentrarono le Signorie che, come quella degli Este a Ferrara, cercavano di accumulare ricchezza, potere e tesori. Però per lo più esse conservarono le istituzioni amministrative comunali e sostennero le attività economiche cittadine, perché avevano capito che avrebbero potuto ottenere di più dai dazi e dalle tasse.
Con questa politica la città di Ferrara, che controllava le vie di commercio fluviali della Pianura Padana prima del loro sbocco in mare, raggiunse una relativa prosperità e crebbe di dimensioni. Però siamo ancora molto lontani dalla società moderna, perché mancavano le tecnologie di oggi e delle adeguate fonti di energia,
e la grande maggioranza della popolazione rimaneva molto povera.
Gli Este e la stessa città di Ferrara accumularono immensi tesori e collezioni d’arte, anche se alla fine questo patrimonio andò quasi tutto perduto o disperso. E anche i monumenti più importanti nel corso dei secoli sono andati distrutti (quasi tutti) o sono stati gravemente manomessi.
Quando lo Stato della Chiesa sostituì la signoria estense, mantenne le istituzioni cittadine dell’epoca comunale, ma era meno interessato alle attività artigianali e al commercio, che erano considerate di importanza minore rispetto all’agricoltura dalla quale i nobili e l’alto clero traevano le loro rendite. E gli artigiani, come nell’epoca romana, erano di nuovo finiti all’ultimo posto della scala sociale.
Le difficoltà dell’economia erano aggravate dal clima molto rigido. Nella seconda metà del Seicento siamo nel culmine della “piccola glaciazione” e spesso il Po, il Reno e i fiumi della Romagna esondavano perché in inverno faceva molto freddo, nelle montagne si accumulava molta neve, che poi tra aprile e giugno si scioglieva e andava ad aggiungersi alle piogge primaverili, come racconta il Baruffaldi a pag. 274 e 425 della sua Istoria.
Per questo motivo lo Stato della Chiesa faceva tutto quello che poteva per rafforzare gli argini dei fiumi, anche se con scarsi risultati, mentre ci vollero decenni prima che trovasse le risorse per scavare il Po di Volano, il canale che collega il Po Grande al mare passando per Ferrara, che si era interrato e non era più navigabile. L’interruzione della navigazione aveva creato enormi difficoltà all’economia cittadina. Per tutti questi motivi la situazione peggiorò al punto che, come ci racconta il Baruffaldi a pag. 196 dell’Istoria, la popolazione al tempo degli ultimi principi estensi era due terzi più numerosa che alla sua epoca. Il che equivale a dire che nel primo secolo di dominio dei Papa – Re, la popolazione di Ferrara era diminuita del 40%.
La miseria era sotto gli occhi di tutti, ma gli unici rimedi conosciuti erano le processioni e le elemosine. I buoni sentimenti sono sempre importanti, però con le elemosine il volume dell’economia non aumenta e, tenendo conto della crescita demografica, la povertà non può diminuire.
In questo contesto i nobili, che spesso disponevano di grossi capitali, li impiegavano per consumi di lusso, per costruire chiese e palazzi o per organizzare spettacoli teatrali e tornei cavallereschi, a volte con macchine sceniche costosissime, allo scopo di aumentare il loro prestigio e ottenere altri privilegi. E questo anche quando la gente moriva di fame o di freddo.
Con la diminuzione dei suoi abitanti anche il centro storico si ridusse di dimensioni, perché le case e i palazzi “dirupati” - perché in stato di abbandono - venivano demoliti forse per non pagarci sopra delle tasse. Infine anche i suoi famosi teatri furono tutti distrutti da incendi.
Questa difficile situazione sociale ed economica, però, non era esclusiva dello Stato della Chiesa, ma riguardava tutto il vecchio sistema di potere – quello che i francesi chiamano ancien regime - costituito dalle monarchie e dalle classi nobili (fa eccezione l’Inghilterra da Enrico VIII in poi, che aveva venduto i beni della Chiesa e creato una nuova classe di proprietari terrieri diversa da quella nobile).
Nella società moderna invece giocano un ruolo fondamentale gli imprenditori, che il marxismo chiama “capitalisti” che però, a differenza dei nobili del passato, reinvestono i loro capitali in attività produttive, cosa di cui beneficiano l’economia e la società.
Con la Rivoluzione francese e con il passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale la società feudale è stata sostituita da quella moderna. Negli ultimi due secoli essa ha abolito i titoli nobiliari e la schiavitù, non solo in Europa ma in tutto il mondo, e ha innalzato il livello di vita al punto che la sua lunghezza è triplicata. Il marxismo però ignora, anzi rovescia questi fondamentali dati storici e mette sotto accusa e combatte proprio la società moderna.
La guerra contro la società moderna.
Le forze politiche che si ispirano al marxismo hanno capito che con il pretesto dell’ambiente si può far passare qualsiasi cosa, anche la più assurda. Per questo hanno strumentalizzato i temi ambientali per imporre delle finte soluzioni il cui vero scopo è fare il massimo danno all’economia “capitalista”.
Da molto tempo vengono lanciati degli allarmi sul clima. Le emissioni antropiche di anidride carbonica starebbero provocando un catastrofico surriscaldamento del pianeta, che potremo scongiurare solo sostituendo le normali centrali elettriche con le costosissime e inutili “energie alternative”, cioè con eolico, fotovoltaico, biocarburanti e idrogeno, mentre sono state criminalizzate e bloccate proprio le soluzioni migliori che abbiamo per sostituire i combustibili fossili, a partire dall’energia nucleare.
La politica energetica “alternativa” di questi anni, basata su dei presupposti sbagliati e da attuare solo con delle finte e costosissime non soluzioni, ha già distrutto nel nostro Paese risorse economiche per circa 350 miliardi, ha aumentato di tre o quattro volte il prezzo dell’energia e ha impoverito tutta la società civile. Eppure questo è ancora nulla rispetto a quello che dovremmo ancora spendere in base all’Accordo di Parigi firmato da quasi tutti i paesi occidentali per “decarbonizzare” l’economia (vedi l’articolo Reimpostare la discussione sul clima).
Come si concilia questa guerra con il fatto che molte associazioni di sinistra sono impegnate nelle più diverse attività sociali, che vanno da iniziative a favore dei disabili o delle persone in difficoltà, all’organizzazione di eventi sportivi per i bambini e i giovani ecc.?
Il volontariato per fini filantropici o caritativi una volta era appannaggio delle organizzazioni cattoliche e delle parrocchie, ma oggi è sempre più spesso un’attività “di sinistra”. In effetti essere di sinistra vuol dire condividere delle istanze di giustizia e uguaglianza sociale e molti sono disposti a spendere molto del loro tempo e delle loro energie per questi scopi benefici.
Ma c’è una forte contraddizione tra l’attenzione per i problemi sociali e la guerra dichiarata dal marxismo contro la società moderna, cioè contro la società stessa in cui viviamo. Essere di sinistra, infatti, vuol dire condividere l’ideologia che accusa la società moderna - capitalista di essere la causa delle ingiustizie sociali. E quindi anche approvare la condanna dello sviluppo, la strumentalizzazione dei temi ambientali e l’allarmismo sul clima, che sono gli strumenti o le armi di questa guerra.
Una guerra alla società moderna che ha già causato danni enormi, che vengono pagati prima di tutto dalle classi sociali più deboli. Una guerra che ha fatto danni ancora maggiori ai paesi più poveri del mondo e che per esempio ha ritardato di oltre trent’anni la crescita dell’Africa per uscire dalla povertà.
Altrettanto dannoso per la società è l’incitamento all’odio “di classe” verso le altre parti politiche o i governi “nemici”, perché il funzionamento di qualsiasi società si basa sulla collaborazione, anche se la competizione non scompare mai. Così come è anti democratica e anti sociale la condanna per partito preso di qualsiasi decisione dei governi di destra, a cui di fatto non viene riconosciuta la legittimità a governare. Infine è anti democratico e quindi anti sociale anche il rifiuto del modello bipolare per far sì che siano gli elettori a scegliere direttamente i governi e per dare finalmente all’Italia una democrazia compiuta.
Insomma c’è una grossa contraddizione tra l’impegno volontaristico di molte associazioni di sinistra e questa guerra contro la società capitalista. Una guerra sbagliata fatta per motivi sbagliati, perché la società moderna, è meglio chiamarla così invece che capitalista, è l’unico modello sostenibile sia sul piano sociale che ambientale mai comparso nella storia umana, come questo sito ha ampiamente dimostrato.
Nel corso degli ultimi tre secoli essa ha migliorato le condizioni di vita al punto che la sua lunghezza in media mondiale è triplicata. Ha abolito la nobiltà e la schiavitù e sta mettendo sotto controllo la crescita demografica esponenziale anche su scala globale, che era la causa che rendeva inevitabili sia la miseria assoluta che le disparità sociali infinite di tutte le altre epoche.
La società moderna ci ha anche regalato un grande aumento della conoscenza che abbiamo del mondo: della natura, di noi stessi e dell’universo. Anche per questo è difficile per noi oggi immaginare le condizioni di vita, molto peggiori delle nostre, anche solo di pochi secoli fa (vedi per esempio la pagina “La scienza prima di Galilei e Newton”).
Infine la società in cui viviamo, contrariamente a quello che molti pensano, è anche l’unica sostenibile sul piano ambientale, e lo sarebbe ancora di più se le soluzioni migliori che abbiamo per i principali problemi di oggi non fossero state ostacolate o impedite per non fare regali alla società capitalista.
Destra o sinistra?
Ma questo cosa significa, che dovremmo votare tutti per la destra?
In realtà quello che dobbiamo chiederci non è se siamo di destra o di sinistra, ma se siamo a favore o contro la società moderna. Perché sia a destra che a sinistra ci sono delle posizioni favorevoli e contrarie alla società moderna, come dimostra l’attuale Amministrazione americana, sicuramente di destra, che sta prendendo lezioni di liberalismo niente meno che dalla Cina.
L’amministrazione precedente, intrisa di idee antisviluppo, insieme all’Europa aveva fatto di tutto per impedire lo sviluppo dei paesi più poveri, per esempio rifiutando di finanziare la costruzione delle infrastrutture e delle centrali elettriche, a meno che non fossero impianti eolici e fotovoltaici. Su questo punto Trump, molto critico verso il green deal, ha un approccio migliore, ma per il resto la sua politica non sembra ispirarsi ai principi liberali.
Infatti il neo eletto presidente americano si è subito schierato dalla parte della Russia di Putin, un dittatore guerrafondaio, e contro la Cina che deve la crescita straordinaria di questi anni allo sviluppo della sua economia e non alle guerre di conquista. Inoltre Trump sta imponendo forti dazi sui prodotti europei, su quelli cinesi e anche sui beni fabbricati nei paesi più poveri del mondo.
L’industria manifatturiera dei paesi poveri, ad alta intensità di manodopera e a bassa intensità di capitali, è più competitiva per via delle basse retribuzioni che a loro volta sono dovute alla bassa produttività. Aumentare i dazi non farà tornare in America nemmeno un posto di lavoro. Inoltre molti beni di consumo finiranno per costare molto di più ai consumatori europei e americani. Infine non bisogna dimenticare che queste attività manifatturiere sono fondamentali per i paesi poveri, perché sono il primo passo sulla strada dello sviluppo e dell’uscita dalla povertà.
Dalle amministrazioni americane, sia di destra che di sinistra, ci si sarebbe aspettata una politica a favore dello sviluppo dei paesi più poveri, se non altro perché lo sviluppo è la prima condizione per la pace e la sicurezza. Ma anche perché promuovere lo sviluppo di questi paesi è una politica lungimirante anche dal punto di vista economico. Infatti sono proprio i paesi più poveri del mondo che hanno davanti a loro il più lungo periodo di robusta crescita economica, e aiutarli in questa fase critica è anche un investimento che alla fine darà i suoi frutti (vedi l’articolo Paesi poveri: problema o opportunità?).
Il Congo è il paese più grande dell’Africa centrale e anche il paese più grande del mondo che ancora non ha iniziato un percorso di crescita. E’ ricco di giacimenti di gas naturale e anche di corsi d’acqua adatti per degli impianti idroelettrici. Eppure i suoi cento milioni di abitanti hanno come unica fonte di energia la legna da ardere, che si procurano tagliando gli alberi della foresta. E dato che la legna non può alimentare un’economia moderna, il Congo è ancora un paese disperatamente povero. La responsabilità è della Banca Mondiale dell’ONU e dei paesi ricchi dell’Europa e dell’America, che da anni cercano di imporre a questo paese le costosissime e inaffidabili energie alternative e si rifiutano di finanziare le centrali idroelettriche e a gas, nonostante che esse si ripagherebbero da sole con l’energia elettrica prodotta.
Invece la Cina, con la politica delle nuove vie della seta, ha creato in Africa 85 milioni di posti di lavoro (ma non in Congo perché manca l’energia!) e sta costruendo molte delle infrastrutture di cui questo continente ha un disperato bisogno. Lo sta facendo per i suoi interessi e per ampliare la propria sfera di influenza, ma con questa politica ha dato la spinta decisiva allo sviluppo del continente africano.
Inutile lamentarsi adesso dello strapotere del dragone cinese e poi cercare di colpirlo con dei dazi che soffocano il commercio e danneggiano tutti. E preferirgli addirittura la Russia di Putin, con il risultato di spingere la Cina verso la Russia e convincere Putin a continuare la sua guerra contro l’Ucraina!
Bisogna riconoscere alla Cina il merito storico di avere dato una spinta decisiva allo sviluppo dell’Africa, che era stato ritardato di oltre trent’anni dall’ideologia anti sviluppo e fare concorrenza al grande paese asiatico negli aiuti allo sviluppo. E bisogna anche cercare migliorare i rapporti con la Cina e con tutte le altre grandi potenze.
Lo sviluppo è così importante, e ci vuole così poco per dargli una spinta, che potrebbe farlo anche un paese come l’Italia. Il governo Meloni ha varato il Piano Mattei per aiutare lo sviluppo di diversi paesi africani, tra cui il Congo, allo scopo di prevenire l’immigrazione irregolare. Ma è lo sviluppo stesso che dovrebbe diventare il principale obiettivo di questa politica.
E dato che si sta parlando dello sviluppo dell’Africa, questo sito ha rilanciato una proposta per una produzione di carne alternativa all’allevamento dei bovini, adatta ai paesi tropicali ricchi i foreste, paludi e corsi d’acqua ma poveri di terreni da pascolo e che non costerebbe quasi nulla (vedi la voce “allevare animali da carne diversi dai bovini” nell’articolo Un programma per qualsiasi governo).
Un’analisi del tema ambiente e sviluppo basata sui dati della realtà.
Per concludere la sinistra dovrebbe abbandonare l’interpretazione anti storica del marxismo, che sta alla base della sua guerra ideologica contro la società moderna. E tutti i governi, sia di destra che di sinistra, dovrebbero evitare di indebolire le democrazie distruggendo delle altre immense risorse economiche così come previsto dall’Accordo di Parigi per decarbonizzare il mondo. E investirle invece sulle tecnologie migliori che abbiamo per sostituire il carbone e il petrolio, perché inquinanti, e finanziare la ricerca sulle tecnologie strategiche come le batterie delle auto elettriche, per non lasciarne il monopolio alla Cina o addirittura alla Russia. Infine ambedue gli schieramenti politici dovrebbero farsi concorrenza sulle politiche per rilanciare l’economia e rafforzare ciascuno dei tre pilastri che sostengono la società moderna, che sono la rivoluzione scientifica e tecnologica, l’economia di mercato e la libertà. Perché la società in cui viviamo non é la causa di ogni male, ma l’unico modello sostenibile sul piano sociale e ambientale mai comparso nella storia umana.