LA GRANDE MURAGLIA VERDE

L’ambientalismo è un movimento d’opinione nato in tempi recenti come risposta ai danni inferti all’ambiente dall’economia moderna. In effetti, durante la crescita economica necessaria per sconfiggere la povertà, e specialmente nella prima fase di questa crescita, l’impatto ambientale aumenta e aumenta in maniera considerevole.
Per questo molti sono convinti che la società moderna e il moderno benessere non siano sostenibili.
Per esempio questo era quello che sosteneva un libro come “I Limiti dello Sviluppo”, pubblicato nel 1972, che ebbe a suo tempo una vasta eco. Ed era anche l’opinione di chi scrive.
Queste convinzioni pessimistiche si basavano su due presupposti. Il primo era che la produzione dei beni materiali dovesse aumentare all’infinito. Però già nel corso di quegli stessi anni Settanta, nei paesi più sviluppati dell’epoca la produzione dei beni materiali ha raggiunto i limiti del mercato e, a seconda dei settori, si è arrestata, è diminuita o è crollata.
A crescere sono stati invece i servizi, che non sono altro che beni immateriali e che per questo hanno un impatto ambientale molto minore. Da allora i servizi sono cresciuti al punto che oggi occupano i tre quarti dell’economia.
Il secondo presupposto de “I Limiti dello Sviluppo” era quello di una crescita demografica esponenziale, che pure procede all’infinito. In effetti all’epoca quelli che erano chiamati “paesi in via di sviluppo” non avevano ancora rallentato la loro crescita demografica, e molti erano convinti che non avrebbero mai raggiunto un punto di equilibrio.
Però nel 1972 l’equilibrio demografico era già stato raggiunto, o stava per essere raggiunto, dai paesi più sviluppati. Inoltre nel corso di quegli stessi anni Settanta anche nel resto del mondo i tassi di natalità erano già tutti in discesa. E oggi sono calati al punto che è dalla metà degli anni Novanta il numero di nuovi nati in media mondiale ha smesso di aumentare. Molti però non hanno ancora registrato questo dato e continuano a lamentarsi della crescita demografica.
Quindi non è vero che la società moderna, nata con la rivoluzione industriale, non è sostenibile: in realtà essa è l’unica nella Storia che ha raggiunto o che sta raggiungendo la stabilità demografica; ed è anche l’unica nella quale la produzione dei beni materiali smette di aumentare e viene sostituita in larga misura dai servizi.
Ma non è ancora tutto, perché aumenta anche l’efficienza con cui i vari beni vengono prodotti. E quello che conta dal punto di vista ambientale non è tanto la quantità dei beni che produciamo e consumiamo, ma la quantità delle risorse primarie che abbiamo usato per produrli. E se aumenta l’efficienza, diminuisce in proporzione il consumo di queste ultime.
Inoltre una società benestante è anche l’unica interessata a proteggere l’ambiente, perché ha già soddisfatto i bisogni primari. Ed essa è quindi l’unica che ha l’interesse, la capacità e i mezzi per raggiungere questo obiettivo.
Infine la società moderna ha già tutte le soluzioni che possiamo desiderare per i principali problemi di oggi, sia dello sviluppo che della sostenibilità ambientale. E sono soluzioni vere, praticabili, convenienti e alla nostra portata.
Uno dei problemi principali di oggi è quello del recupero dei territori desertificati da secoli di sfruttamento eccessivo. In questo campo il paese all’avanguardia è la Cina.


La grande muraglia verde cinese.
Di solito l’avanzata del deserto è causata dall’abbattimento degli alberi e dallo sfruttamento eccessivo del pascolo. Nei secoli passati la crescita demografica ha trasformato un po’ dovunque nel mondo grandi territori, una volta verdi, in deserti. Questo è vero anche per gran parte dell’Asia e della Cina occidentale. Qui ci sono delle vaste aree che 2000 anni fa erano abitate da pastori e che adesso sono coperte da dune di sabbia. Questa situazione è stata aggravata dai disboscamenti decisi nel 1958 dal regime maoista, che hanno provocato anche un aumento delle tempeste di sabbia che investono la città di Pechino. Ed è stato proprio per difendere la capitale cinese dalle nubi di sabbia provenienti dall’Ovest e dal deserto di Gobi a Nord, che fin dalla fine degli anni ’70 è partito il progetto Grande Muraglia Verde. Un grandioso progetto, non solo per fermare l’avanzata del deserto, ma per farlo arretrare.
All’inizio il lavoro procedeva lentamente e con fatica. Gli operai scavavano delle buche nella sabbia, che spesso ricadeva e le riempiva di nuovo. Poi veniva messa a dimora la piantina. Dopo bisognava portare fin lì l’acqua per innaffiarla e tutto veniva fatto manualmente.
Oggi l’acqua viene portata sul posto con delle autocisterne. Un forte getto scava una buca nella sabbia e la riempie d’acqua. La piantina proveniente dai vivai viene subito messa a dimora e rincalzata: il tutto in pochi secondi.
Nel primo anno le nuove piante devono essere innaffiate una volta alla settimana, nel secondo una volta ogni due settimane e negli anni successivi, e finché non saranno diventate abbastanza grandi, con un impianto goccia a goccia. La Cina in questo progetto ha investito grandi risorse umane ed economiche.
Nel tempo sono state sperimentate diverse essenze arboree. Ma il pioppo, che in un primo tempo era stato scelto perché a crescita rapida, non si è dimostrato in grado di resistere al clima arido del deserto. Inoltre è un albero dal ciclo di vita breve e che poi deve essere ripiantato.
Sono state selezionate le piante più adatte per i diversi ambienti e aree geografiche, ma ci si è accorti ne servono di almeno due tipi diversi per resistere agli attacchi dei parassiti. In questo modo però l’80% sopravvivono, e nell’Ovest è stata già ricoperta di alberi una superficie di deserto sabbioso grande come l’Inghilterra.
Vengono anche studiati i movimenti delle dune, in modo da prevederne gli spostamenti e programmare gli interventi di rimboschimento, e anche per individuare i percorsi più adatti quando c’è bisogno di costruire una strada o una ferrovia. Adesso ci sono migliaia di chilometri di strade e di ferrovie che non vengono più ricoperte dalla sabbia del deserto.
Vengono impiegate anche molte risorse nella ricerca. Si è scoperto che irrorando la sabbia con acqua nella quale sono stati fatti crescere dei cianobatteri, si forma una crosta superficiale che, quando c’è vento, impedisce alla sabbia di sollevarsi. Inoltre sopra vi possono crescere dei licheni, e ne sono stati selezionati alcuni che impiegano un anno a svilupparsi invece di venti. Con i licheni cominciano a comparire i primi insetti, poi dei piccoli animali che se ne nutrono. E tutto questo aiuta la crescita delle piante. Oggi si sta progettando di irrorare il terreno con acqua e cianobatteri con mezzi aerei.
Considerati i danni provocati dal pascolo, l’attività dei pastori è stata regolamentata, in modo da limitarla a certi periodi dell’anno. A Nord Ovest di Pechino un lago col tempo si è prosciugato, lasciando in superficie una sottile crosta di sale. E quando tira il vento, non si solleva solo la sabbia ma anche il sale, che costituisce un grosso problema per i terreni coltivati. Problema che è stato risolto coltivando sul fondo di questo antico lago una pianta alofila (che ama il sale) che ricopre tutta la superficie. Una pianta che per di più è commestibile e la cui vendita copre i costi di recupero del territorio.
La grande muraglia verde cinese ha già conseguito importanti risultati. All’inizio la città di Pechino veniva investita da tempeste di sabbia 80 volte all’anno, mentre oggi solo 3 o 4 volte. Ma la battaglia contro il deserto non è ancora vinta e il programma verrà portato avanti ancora per decine di anni.


La grande muraglia verde africana.
Il progetto africano porta lo stesso nome di quello cinese, che a sua volta si ispira alla
Grande Muraglia di pietra. Esso è stato approvato dagli Stati del Sahel e del Sahara nel 2005 ed è partito nel 2007.
All’inizio l’idea era di realizzare una fascia alberata larga 50 Km e lunga 8000, che corresse ininterrottamente dal Mar Rosso all’Oceano Atlantico. Poi il progetto è stato ridimensionato e la larghezza è stata ridotta a 15 Km. Ma, date le difficoltà incontrate e la scarsità dei finanziamenti, invece di una fascia continua sono nate una miriade di piccoli progetti.
Finanziato con tre miliardi di dollari dalla Banca Mondiale, il progetto sta comunque funzionando e, quello che più conta, con i risultati già raggiunti sta dimostrando che rinverdire il Sahel è possibile. Del resto questo non è un vero e proprio deserto o un deserto di dune di sabbia come in Cina, ma un territorio che, senza la presenza umana, sarebbe ricoperto di savana o di boscaglia. I Paesi che finora si sono distinti sono l’Etiopia e il Senegal, dove sono già stati piantati decine di milioni di alberi.
Anche qui, come in Cina, con l’aiuto di mezzi meccanici vengono messe a dimora le piantine coltivate nei vivai. La manodopera è locale e il lavoro è organizzato da personale esperto, in gran parte francese. Le operazioni procedono velocemente, anche se quello di piantare alberi, per lo più acacie, è solo una parte del lavoro. Non meno importanti sono le opere che servono a conservare l’acqua e ad usarla in maniera razionale, in modo che possa esser impiegata per l’agricoltura e per l’allevamento del bestiame durante tutto l’anno. I risultati sono già spettacolari: dei meravigliosi paesaggi verdi che ricordano i giardini dell’Eden dove fino a pochi anni fa c’era un territorio arido e spoglio.
Il progetto iniziale, però, è stato molto ridimensionato, prima di tutto per mancanza di finanziamenti. C’è anche la difficoltà di realizzarlo in zone disabitate. Inoltre a volte gli animali al pascolo distruggono le piantine appena messe a dimora. Per questo, oltre ai finanziamenti e ai tecnici esperti, è necessario anche il coinvolgimento degli Stati e delle popolazioni locali. Ma non dovrebbe essere difficile, perché questi interventi equivalgono alla conquista di un nuovo territorio che può creare occasioni di vita e di lavoro per milioni di persone. Quante guerre sono state intraprese per conquistare dei nuovi territori?
Per quanto riguarda i finanziamenti, ad essere interessata dovrebbe essere per prima l’Europa. Finora l’Occidente e l’Europa hanno speso grandi somme in “aiuti allo sviluppo”, che però di sviluppo ne hanno prodotto poco perché alla crescita economica viene attribuita una valenza negativa. Basti dire che, per quanto riguarda le infrastrutture, l’Africa è ancora ferma all’epoca coloniale. Purtroppo è sempre viva l’illusione che si possa ottenere la sconfitta della povertà senza la crescita economica(!), e che anzi la crescita stessa sia un male. E per quanto riguarda il Sahel, l’Europa finora ci ha messo solo pochi spiccioli.
In realtà progetti come quello della grande muraglia verde africana (per ora ancora piccola) dimostrano che non c’è incompatibilità tra crescita, sviluppo e sostenibilità ambientale. Per l’Europa, poi, c’è ancora un altro motivo per finanziarli: l’immigrazione.
Il progetto di rinverdire il Sahel ha bisogno di manodopera, e di manodopera locale. Esso quindi è in grado di creare da subito molte opportunità di lavoro e di creare un’agricoltura prospera. Ed è proprio dalla fascia del Sahel che partono le carovane di immigrati, tanto che molti villaggi della regione ormai sono abitati solo da donne. I loro uomini sono emigrati spendendo tutti i loro risparmi con la speranza di una vita migliore. Molti di loro, però, si sono ridotti a chiedere l’elemosina davanti alla porta di un bar. Creare nuove opportunità di vita e di lavoro è quindi una soluzione vera, e molto più umana, al problema dell’immigrazione.


Diminuire il tasso di anidride carbonica.
Ma c’è ancora un altro motivo che giustifica gli sforzi per portare avanti questo progetto. Se l’aumento della temperatura degli ultimi decenni è dovuto a un alto tasso di anidride carbonica atmosferica, quello che dovremmo fare è cercare di diminuirlo. Un obiettivo che si può raggiungere in due modi: diminuendo le emissioni di gas serra e consumando una parte di quella che si è accumulata finora.
Per diminuire le emissioni antropiche di anidride carbonica ci sono diverse soluzioni, che vanno dalle centrali a turbogas, alle auto elettriche e alle centrali nucleari.
La Cina e l’India hanno centinaia di centrali a carbone a bassa efficienza, che quindi devono consumare molto più carbone per produrre la stessa quantità di energia elettrica. La loro sostituzione con delle centrali a turbogas ridurrebbero il consumo di combustibile a circa un terzo e userebbero come combustibile il metano che produce il 60% in meno di anidride carbonica rispetto al carbone. Le emissioni di questo gas serra verrebbero quindi abbattute anche del 90% e in più verrebbe azzerato l’inquinamento. Le emissioni globali, dopo essersi stabilizzate negli ultimi anni, diminuirebbero di un buon 3 / 4% annuo e continuerebbero a farlo per molto tempo.
Ma la soluzione ottimale è l’energia nucleare, a cui ciascuno di questi due grandi paesi è molto interessato. Al contrario le famose energie rinnovabili, sulle quali punta l’Europa, nonostante i loro costi astronomici non sono in grado di sostituire le normali centrali elettriche e i combustibili fossili.
Ma per diminuire il tasso di anidride carbonica c’è un’altra possibilità ed è consumare una parte di quella che si è accumulata nell’atmosfera. E il modo migliore per farlo è piantare degli alberi, che la usano per la loro crescita. Quello di rinverdire il Sahel, un’area vastissima, è un progetto a lungo termine, ma che nel tempo potrebbe dare un contributo significativo.


Sviluppo e sostenibilità ambientale non sono incompatibili.
Qualche decina di anni fa si poteva pensare che i problemi dell’ambiente fossero per loro natura privi di soluzione, e che la crescita senza limiti della popolazione e dei consumi avrebbe portato alla progressiva scomparsa degli ecosistemi naturali. Ma gli argomenti di un libro come “I Limiti dello Sviluppo” si sono dimostrati fallaci e si può affermare che è vero l’esatto contrario.
I paesi emergenti stanno percorrendo la stessa strada di quelli più sviluppati con solo qualche decennio di ritardo e molti di loro sono già molto avanti su questa strada.
Nel mondo il numero di nuovi nati si è stabilizzato e anche le economie dei paesi emergenti hanno cominciato a sostituire i beni materiali con i servizi. E anche presso di loro, man mano che aumenta il benessere, emerge l’interesse per l’ambiente.
In tutto il mondo vengono create delle riserve naturali e vengono recuperati e rimboschiti dei terreni spogli e degradati. Il progetto Grande Muraglia Verde del Sahel è solo quello più importante.
Quindi non è vero che la crescita dell’economia mondiale, che oggi sta liberando dalla povertà alcuni miliardi di persone, porterà alla progressiva distruzione dei principali habitat, anche se in molti casi è quello che sta avvenendo. In un numero maggiore situazioni, però, sta accadendo il contrario.
Se vogliamo promuovere lo sviluppo e proteggere l’ambiente dobbiamo adottare le soluzioni efficaci, che per fortuna non mancano. Ma dovremmo anche partire dai dati di oggi e non di 50 anni fa, che ci dicono che non c’è incompatibilità tra sviluppo e sostenibilità ambientale.


 


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