Salvare la cultura tradizionale?

L’avvenimento più importante della Storia è la comparsa della società moderna. Essa ha migliorato in maniera straordinaria le nostre condizioni di vita, la cui lunghezza è triplicata. La società moderna è anche l’unica in grado di sconfiggere la povertà che ancora rimane.
Ma essa ha anche introdotto dei cambiamenti profondi. Fino a due secoli fa l’80 / 90% della forza lavoro era impiegata in agricoltura. Oggi essa è ridotta al 3%, e questo significa che quasi tutti i contadini hanno dovuto abbandonare la terra e imparare a svolgere altre attività. Stesso discorso per gli artigiani: i vecchi mestieri non esistono quasi più. In seguito anche la produzione industriale è diminuita, per essere sostituita dalle attività di servizi che oggi occupano i tre quarti dell’economia.
Oltre alle attività tradizionali, arretrate e poco produttive, sono scomparse anche molte tradizioni legate a questa economia e la cultura che le accompagnava. Così come sono scomparsi i modelli sociali dei secoli passati, con i loro rapporti di sudditanza feudale, le profonde disparità sociali, le differenze di genere e i fortissimi condizionamenti sociali.
Quello che è andato perduto è stato sostituito dalle nuove conoscenze necessarie per vivere nella società moderna e per esercitare le nuove attività, molto più produttive, che sostengono il nostro benessere.
Questa profonda rivoluzione ha suscitato due diversi atteggiamenti. Da una parte ci sono i “modernisti” che apprezzano i vantaggi dell’economia moderna, alla quale contrappongono tutto quello che viene dal passato. Dall’altra ci sono i “tradizionalisti” che idealizzano le società del passato e che interpretano la perdita di qualsiasi frammento della cultura tradizionale come una catastrofe.
Queste due visioni contrapposte hanno ciascuna una parte della ragione e una parte del torto. I tradizionalisti hanno torto se pensano che le società del passato fossero migliori della nostra. Una volta la vita era davvero “dura, bestiale e breve”. Essi quindi sbagliano se pensano che debba essere salvato tutto quello che viene dal passato. Analogo discorso per i vecchi modelli sociali. Nonostante le critiche alla società moderna, oggi nessuno vorrebbe resuscitare le infinite differenze sociali e i soffocanti condizionamenti dell’epoca feudale.
Invece hanno ragione quando cercano di salvare le nostre tradizioni culturali “alte”. L’architettura, la pittura, la scultura, la musica, e poi la letteratura, la filosofia e la storia, anche perché queste sono state incorporate nella società moderna fino al punto da costituirne il fondamento. Tra le tradizioni che fanno parte della cultura alta c’è però anche la scienza, che i tradizionalisti contrappongono alla cultura classica e umanistica.
Per contro i modernisti, certo non tutti, condannano in blocco la cultura e le tradizioni del passato perché le associano a stili di vita e a modelli di produzione arcaici e superati. E molti, facendo di tutte le erbe un fascio, condannano anche le espressioni più alte della cultura. E quindi anche loro, dal lato opposto della barricata, contrappongono la scienza e la tecnologia alla cultura classica e umanistica.
Una separazione che una volta non esisteva. I letterati e gli umanisti erano spesso anche degli scienziati, e gli scienziati avevano sempre anche una cultura umanistica. Ma questa separazione non ha ragion d’essere nemmeno oggi, perché è difficile capire, per esempio, come un filosofo possa ignorare quello che oggi sappiamo del mondo fisico e dell’universo. Ma anche un ingegnere può fare meglio il suo lavoro se lo arricchisce con una cultura umanistica.
Del resto la stessa società moderna sarebbe difficile da immaginare senza lo sviluppo parallelo della scienza e della cultura classica, che ha fornito il contesto, ricco e articolato, in cui sono maturate le scoperte scientifiche. Nello stesso tempo lo sviluppo della scienza e della tecnologia ha sempre influenzato la cultura umanistica. Prima di tutto la filosofia, la letteratura e la storia. Ma anche la pittura e la scultura si sono avvalse, fin dall’antichità, delle conoscenze anatomiche, l’architettura delle tecniche ingegneristiche, la musica della fisica delle onde sonore ecc. Anzi, è proprio il loro stretto legame con la scienza che rende quelle classiche le forme d’arte le più universali e diffuse.
La separazione tra le due culture è nata con l’era industriale. Con tutti i cambiamenti a cui bisognava adattarsi, con i tanti problemi inediti e con la paura del nuovo, è venuta la condanna della società moderna da parte degli intellettuali romantici dell’Ottocento. I loro utopistici ideali di bellezza e di perfezione, però, non tenevano conto né della trappola della povertà, né della necessità di rendere l’economia più produttiva per liberare l’umanità dai suoi bisogni più elementari. Come reazione essi hanno idealizzato la società feudale, e la condanna della modernità è diventata un luogo comune.
Anche Marx è stato influenzato dagli intellettuali romantici, che hanno contribuito a dargli un’idea sbagliata della rivoluzione industriale. Marx aveva capito che bisognava superare la società feudale. Ma nel suo tentativo di costruire un nuovo modello di società, ha incorporato la scienza nella sua ideologia (il marxismo scientifico) e ha stabilito che dovesse essere lo Stato a prendere tutte le decisioni riguardanti l’economia e la società. Per questo ha eliminato gli altri due elementi che stanno alla base della società moderna, cioè il libero mercato e la libertà. E poiché dal suo programma ha cancellato la libertà, ha creato un mostro.
Oggi è necessario superare sia la separazione tra le due culture sia l’ideologia marxista con tutti i suoi miti. Non è vero che l’economia, il commercio e la finanza sono solo speculazione. Non è vero che i salari sono una “variabile indipendente”. I salari non possono essere né troppo alti né troppo bassi rispetto alla produttività. Quindi se vogliamo aumentare i salari dobbiamo far salire la produttività.
Per quanto riguarda il commercio, il solo fatto di trasportare un bene da dove è abbondante ed economico a dove è raro e costoso ne aumenta il valore. Più in generale c’è un criterio semplice per distinguere l’economia sana dalla speculazione: la prima produce valore, non solo economico, la seconda lo distrugge. E negli ultimi due secoli la società moderna ha aumentato il volume dell’economia mondiale di 60 / 70 volte.
Purtroppo il pregiudizio contro la società moderna col tempo si è rafforzato, anche perché adesso essa è accusata di distruggere l’ambiente. Questa accusa è in parte vera perché, nella prima fase della crescita che porta dalla povertà al benessere, aumenta la produzione di molti beni materiali e quindi l’impatto ambientale. Ma questi danni sono una eredità del passato, cioè di quando la popolazione aumentava in maniera esponenziale e i beni venivano prodotti in maniera altamente inefficiente. Ma poi è stata proprio la società moderna a mettere fine alla crescita demografica e a far decollare la produttività.
Pertanto la società moderna è anche l’unica sostenibile sul piano ambientale. Lo dimostrano i paesi più sviluppati, che sono oggi da ogni punto di vista molto più sostenibili di mezzo secolo fa.
Però le idee anti moderne degli intellettuali romantici sono più che mai diffuse. Più che mai diffuse in Italia, dove da anni è in corso una vera e propria guerra contro le basi stesse dell’economia e della società in cui viviamo. Ma anche in Europa le critiche alla società moderna si sono rafforzate e influenzano negativamente le decisioni politiche.
L’Europa ha sovrapposto a quelle nazionali la sua pesante burocrazia e non ha mai spinto l’Italia verso una democrazia compiuta. Inoltre ha imposto ai paesi membri con delle false giustificazioni ambientali la politica costosissima e inutile delle “energie alternative”. Con il risultato di mantenere irrisolti questi grossi problemi, che a loro volta diventano il pretesto per continuare a mettere sotto accusa la società moderna.
Insomma, anche dopo la fine dell’Unione sovietica, la condanna del mondo moderno non solo non è venuta meno, ma ha ripreso vigore, con conseguenze negative incalcolabili. Ed è un paradosso che l’Europa, che ha il merito di avere inventato la società moderna, oggi su questo punto debba prendere lezioni dalla Cina.
La Cina è un paese comunista e non ha governi elettivi. Ma che dire dell’Italia che non ha ancora l’elezione diretta del capo del governo, e dell’Europa che non l’ha mai spinta in questa direzione? Però la Cina del dopo Mao ha adottato in pieno la società moderna, mentre l’Europa di fatto la combatte.
Questo grande paese ha adottato ciascuno dei tre pilastri che stanno alla base della società moderna. In Cina c’è la corsa all’istruzione tecnica e scientifica, l’economia è più liberalizzata che in Europa e la libertà personale dei suoi abitanti non è molto diversa dalla nostra. In più durante il maoismo la Cina aveva combattuto in modo efficace anche se brutale la società feudale. Per questo è volata.
Certo Mao, specialmente negli ultimi dieci anni, quelli della rivoluzione culturale, ha cercato di distruggere anche l’arte, la cultura e le tradizioni alte del suo passato. Per fortuna, però, non c’è riuscito del tutto, e dopo di lui le grandi tradizioni della storia e della cultura cinese sono rinate.
Quindi mentre l’Europa, che l’ha inventata, sta facendo di tutto per indebolire le fondamenta della società in cui viviamo, la Cina invece ci sta insegnando che è proprio la società moderna la strada per sconfiggere la povertà. E anche per affrontare i principali problemi ambientali.
L’Europa si vanta di essere all’avanguardia nelle politiche ambientali. In realtà essa strumentalizza questi temi per attuare delle politiche inefficaci e costose che soffocano l’economia e non aiutano l’ambiente. Per esempio, abbattere le foreste millenarie del Borneo per produrre biocarburanti aumenta invece di diminuirle le emissioni di gas serra. La Cina invece si muove con molta più coerenza, ed è già oggi per alcuni aspetti molto sostenibile.
Questa potrebbe sembrare un’affermazione azzardata: sappiamo tutti che l’economia cinese ha un grande impatto ambientale, se non altro a causa delle sue dimensioni. Ma la Cina ha adottato delle soluzioni all’avanguardia nel settore dei trasporti, nella lotta contro il deserto e nell’allevamento del pesce.
Il paese più grande del mondo ha dotato le sue principali città di reti metropolitane. Poi ha collegato le città grandi, medie e piccole con delle linee ferroviarie ad alta velocità. E la combinazione di metropolitane e treni proiettile è di gran lunga il sistema più veloce per il trasporto delle persone.
Ma questa è anche una soluzione molto virtuosa dal punto di vista ambientale, perché i consumi energetici sono più bassi rispetto all’auto privata.
Inoltre la Cina sta attuando dei colossali piani di rimboschimento ed è già oggi molto più verde di qualche decina d’anni fa. Infine è all’avanguardia anche nell’allevamento del pesce.
La Cina, sia nei laghi interni che nei mari costieri, produce il 70% di tutto il pesce d’allevamento del mondo, ma senza usare mangimi o farina di pesce perché produce insieme pesce, molluschi e alghe commestibili (in compenso la mania per le pinne di pescecane sta distruggendo molti ecosistemi marini).
In altri settori come la produzione dell’energia elettrica, invece, la Cina ha ancora molta strada da fare. Negli ultimi anni ha costruito centinaia di centrali a carbone, poco efficienti e molto inquinanti. Data la loro bassa efficienza, forse tra il 20% e il 25%, esse devono bruciare molto più carbone, che ha contribuito in maniera determinante all’aumento dell’inquinamento e delle emissioni globali di anidride carbonica.
Ma adesso il paese più grande del mondo sta aprendo 8 / 10 centrali nucleari all’anno. Questa è la soluzione migliore sia dal punto di vista economico che ambientale. La soluzione peggiore, invece, è spendere cifre colossali per delle inutili pale eoliche che deturpano il paesaggio e lasciano immutati, e quindi irrisolti, i problemi dell’inquinamento e delle emissioni di gas serra.
La Cina sta facendo le cose giuste anche per quanto riguarda i paesi più poveri. Ha insediato delle unità produttive ad alta intensità di manodopera nei paesi dove il lavoro costa meno, promuovendone lo sviluppo. Così, pur facendo i propri interessi, crea posti di lavoro e preziose competenze professionali e aiuta lo sviluppo di un’economia sana e non assistita.
L’Europa invece, partendo dal presupposto folle che il problema sia la crescita economica, con il ricatto degli aiuti da anni costringe i paesi più poveri ad adottare politiche contrarie alla crescita e allo sviluppo.
Ha impedito ai paesi africani di usare anche dosi minime di DDT per combattere la malaria (vedi l’articolo “Il dramma della malaria”). Continua ad impedire a questi stessi paesi di usare l’ingegneria genetica per rendere le coltivazioni più produttive e resistenti ai parassiti, nonostante che i prodotti gm vengano consumati da oltre 30 anni in tutto il mondo senza alcun danno per la salute delle persone e per l’ambiente (vedi l’art. “Piante geneticamente modificate”). Infine ha bloccato il progetto Grande Inga in Africa e sta cercando di imporre ai paesi più poveri del mondo la costosa non soluzione delle energie alternative. Tutto questo per mantenerli in uno stato di povertà, per poi “dimostrare” quanto sia ingiusta l’economia moderna che crea così grandi differenze tra ricchi e poveri. In questo modo incentiva anche l’emigrazione, con lo scopo, si suppone, di punire i paesi ricchi e farli tornare al medioevo.
In realtà l’unico vero problema dei paesi poveri è la povertà. E per sconfiggere la povertà l’unica strada è quella della crescita. Quindi è necessario che anch’essi adottino l’unico modello economico e sociale che ha già liberato dalla loro secolare miseria per primi i paesi oggi benestanti.
Detto questo, anche per i paesi emergenti si pone il problema di cosa bisogna salvare della loro cultura e delle loro tradizioni. I documentari spesso idealizzano le popolazioni più primitive del pianeta: qui la gente vive in equilibrio con la natura (non in modo innaturale come noi).
Salvo poi aggiungere nel corso del servizio che per tenere dietro alla crescita demografica (devono pur mangiare!) sono costretti ad abbattere sempre nuove foreste per ricavarne pascoli e coltivazioni, spingendo così verso l’estinzione importanti specie animali. Inoltre non dicono che in queste società patriarcali è molto difficile accedere a istruzione, cure mediche e altro ancora.
In realtà le società primitive, come è avvenuto a suo tempo in Europa, non possono conservare intatte la loro cultura e le loro tradizioni e nello stesso tempo rendere più produttiva l’agricoltura, sconfiggere la fame e liberarsi dai loro pesanti condizionamenti sociali.
Consideriamo gli Esquimesi (o Inuit). Oggi essi vivono in casette confortevoli, non soffrono più la fame, hanno istruzione e cure mediche, non devono più affrontare le immani fatiche che solo le persone giovani e atletiche potevano sostenere (e chi non ce la faceva veniva abbandonato tra i ghiacci). Non vivono più in maniera precaria e non si ammazzano più tra di loro. E, anche se questo potrebbe dispiacere alle anime romantiche, non torneranno mai più a vivere come facevano una volta negli igloo. Anche gli Inuit desiderano conservare le loro tradizioni e la loro identità, e cercano di salvare quello che possono. Vanno ancora a caccia di salmoni e di foche e hanno il permesso di uccidere qualche grosso cetaceo. Ma poi tornano nelle loro case e a una condizione di vita molto più accettabile.
E allora perché vogliamo costringere le attuali popolazioni primitive a conservare intatte le loro condizioni di vita tribali? D’altra parte dire queste cose non significa disconoscere il nostro profondo legame con la natura, da cui proveniamo attraverso un lungo processo evolutivo (vedi l’art. “Perché gli esseri umani sono diversi”).
Però se prima non avremo soddisfatto i nostri bisogni fondamentali, non riusciremo nemmeno ad accorgerci dei bei panorami e della brezza marina. Solo dopo potremo dare valore al contatto con la natura, rendendo le città più verdi e a misura d’uomo e preservando gli ambienti naturali. Per molti aspetti ci godiamo la natura molto più oggi che nell’epoca preistorica.
Stesso discorso per il nostro patrimonio storico e artistico: pochi una volta si accorgevano del valore dei monumenti antichi, che venivano distrutti solo per ricavarne materiale da costruzione. Basti vedere cosa si è salvato dei templi e dei palazzi dell’antica Roma. Solo adesso noi “moderni” ne comprendiamo il valore e conserviamo quel poco che è rimasto.
Però gran parte del mondo sviluppato non solo non vuole aiutare i paesi poveri a crescere, ma sta facendo di tutto per riportare l’Italia e l’Europa nel medioevo.
Il relativismo culturale imperante mette tutti sullo stesso piano. Mondi sviluppati e mondi arretrati. Società tolleranti e intolleranti. Scienza e antiscienza. Ma con una predilezione per tutto ciò che è anti moderno. E anche per le costosissime e inutili rinnovabili, che la Comunità europea ha imposto ai paesi membri insieme all’immigrazione irregolare.
A proposito di immigrazione. Al punto in cui siamo arrivati non possiamo non chiederci perché delle ONG come Save the Children e Medici senza frontiere, e tanti volontari che prestano la loro opera gratis, sono disposti a carpire la buona fede della gente e a raccogliere delle offerte, non per aiutare i bambini del Nepal ma, di fatto, i trafficanti di carne umana.
Al di là dell’inganno, questa è un’operazione umanitaria? No, perché questi immigrati hanno speso tutti i loro risparmi o si sono indebitati, e quando arrivano in Italia non hanno nulla con cui vivere, fanno la fame, vivono di attività illegali o chiedono l’elemosina.
Allo stesso modo non possiamo non domandarci perché l’Europa e le burocrazie dell’ONU vogliono costringere i paesi dell’Africa ad una politica contraria alla crescita e allo sviluppo. E perché l’UE ha adottato una politica energetica così inefficace e costosa da poter essere considerata la vera causa della crisi economia in Italia (vedi l’art. “La costosa follia delle energie alternative”).
La risposta è che tutti partono dal presupposto che la crescita economica sia il nemico assoluto, da combattere con ogni mezzo, sia nei paesi ricchi che in quelli poveri. E questo ripudio della società moderna avviva al punto da preferire il ritorno al medioevo. Cosa che lo stesso Marx avrebbe considerato un errore.
Ad essere insostenibile, anche dal punto di vista ambientale, è la povertà. E’ vero che una volta i consumi pro capite erano bassi, ma i beni consumati venivano prodotti in modo altamente inefficiente, a partire dal cibo che aveva bisogno di superfici agricole decine di volte più grandi.
Inoltre nei paesi poveri la popolazione è sempre in crescita, e la crescita demografica è esponenziale, procede per successivi raddoppi e diventa ben presto insostenibile. Ancora. Non è vero che i problemi dell’ambiente e dello sviluppo non hanno soluzioni. I tre principali, cioè il problema demografico, quello della produzione del cibo e quello della produzione dell’energia hanno delle vere soluzioni, praticabili, convenienti e alla nostra portata, che riempiono le pagine di questo sito.
Risolti questi avremo risolto l’80% di tutti i problemi del nostro tempo. Ma avremo anche migliorato il contesto generale, cosa che renderà più facile affrontare i problemi che rimangono. E tutto questo senza ancora tenere conto delle nuove tecnologie che stanno maturando, che daranno altri grossi contributi allo sviluppo e alla sostenibilità ambientale.
E’ davvero un grande paradosso che l’Europa, dopo avere inventato quella stessa società moderna che sta sconfiggendo la povertà in ogni angolo del pianeta, oggi la rinneghi. E’ necessario che gli europei capiscano quanto è dannosa questa politica che nega e combatte la società moderna, la più grande conquista dell’umanità.