Confronto tra la società antica e quella moderna

Molti sono convinti che la società moderna sia la causa delle ingiustizie sociali e dei danni all’ambiente, e che per questo debba essere combattuta in tutti i modi possibili. E per combatterla hanno strumentalizzato i temi ambientali. Tutte le fonti affidabili di energia sono state ostacolate o bloccate per imporre le energie alternative, costosissime e inutili. Una politica che è stata fatta propria da molti governi, dall’Europa, dall’America e dalle Agenzie dell’ONU. Il risultato è quello che vediamo oggi: abbiamo addirittura finanziato, con gli altissimi prezzi del gas, le campagne militari di Putin!
In realtà la società moderna è l’unica sostenibile sul piano sociale, perché è l’unica nella Storia che sconfigge la miseria assoluta dei secoli passati. Ma non si stava meglio nel Medioevo? Allora non c’era il capitalismo, non c’era lo sfruttamento degli operai, non c’erano le multinazionali, le fabbriche, l’inquinamento, i pericoli del traffico. I cibi erano genuini e la vita più semplice e autentica. Tutti i mali derivano dalla società moderna!
Per dirimere la questione, per capire se una volta si stesse meglio di oggi, bisogna rivolgersi agli esperti. Il libro più informato su come si viveva una volta in Europa nel Medioevo rimane la “Storia economica dell’Europa pre-industriale” di Carlo M. Cipolla (1922 – 2000) pubblicato dalla Casa editrice Il Mulino di Bologna.


La vita una volta: dura, bestiale e breve
Spulciando tra le pagine possiamo leggere:
A pagina 39 - “La massa viveva in uno stato di fame endemica e sotto l’incubo permanente della carestia… Quando il raccolto andava male e i prezzi dei commestibili si impennavano, anche spendendo il 100 per cento del proprio reddito l’uomo medio non riusciva a sfamare né sé né la propria famiglia. Allora era la carestia e la gente moriva letteralmente di fame”.


Per quanto riguarda le disparità sociali si può leggere:
A pag. 22 - “E’ innegabile comunque che una delle caratteristiche tipiche dell’Europa pre-industriale fu un allucinante contrasto tra la miseria abietta della massa dei più poveri e l’opulenza e la magnificenza dei più ricchi”.
A pag. 24 - “Uno studio su una città lombarda ha messo in luce per la metà del Cinquecento la distribuzione indicata nella tabella 3d. Secondo i dati di questa tabella il 2 per cento delle famiglie deteneva il 45 per cento delle scorte di grano mentre il 60 per cento non aveva scorta alcuna”.
A pag. 29 - “… la massa dei mendicanti era altamente fluttuante. Molta gente viveva con livelli di reddito minimi e non aveva risparmi. Un’annata di cattivo raccolto, un ristagno negli affari e di colpo i mendicanti si moltiplicavano a dismisura. Ogni operaio o contadino era un potenziale mendicante”.


Riguardo alle condizioni abitative.
A pag. 41 - “Vi era un eccessivo affollamento in locali malsani, soprattutto nelle zone più povere, con conseguenze nefaste sulla salute pubblica. Secondo la relazione del procuratore G.F. Besta in Milano, nel 1576 nei quartieri maggiormente infestati dalla peste, 4.066 famiglie vivevano addensate nelle 8.953 camere esistenti in 1653 case”.
A pag. 42 - “A Palermo durante l’epidemia di peste del 1575. La peste si fa di giorno in giorno più crudele massimamente nel quartiere di Celvaccari, come e più mal disposto e pieno di gente più bassa e vile, in certi luoghi chiamati cortigli, che sono ridotti di certe casette basse, attaccate l’una con l’altra, che molte case spesso si congiungono non havendo salvo che una entrata, con un pozzo in mezzo, comun per tutte”.
A pag. 42 - “A Genova durante la terribile epidemia di peste del 1656 – 57 una suora annotò: In Genova … grandissimo popolo, tutto povero, ristretto in case di 10 o 12 famiglie, … habitano per il più in una stanza otto o più persone prive di acqua e di ogni altra comodità”.


Le condizioni igieniche erano terribili.
A pag. 155 - “La gente usava strade e piazze come pubbliche latrine e gettava ogni cosa fuor dalla finestra senza curarsi di chi passava di sotto”.
A pag. 156 secondo una descrizione dell’epoca - “Parigi è un posto orribile e puzzolente. Le strade sono così mefitiche che non vi si può restare a causa della puzza di carne e pesce che vanno a male e a causa di una folla di gente che orina per le strade”.
A pag. 47 - Nel 1524 Erasmo scriveva a John Francis, medico del cardinale di York, che in Inghilterra anche nelle case dei benestanti il pavimento era sovente ricoperto da rifiuti, vomito ed escrementi d’uomo e d’animali.


Un altro aspetto delle condizioni di vita era la sorte dei bambini abbandonati.
Alle pagine 54 e 55 - “A Venezia, nel XVI secolo, l’Hospedale della Pietà aveva cura in media di circa 1.300 trovatelli che su una popolazione di 130 – 160 mila anime rappresentavano quasi l’1 per cento. A Firenze nel 1552 nell’ospedale degli Innocenti si trovavano 1.200 trovatelli: su una popolazione di circa 60 mila anime rappresentavano quasi il 2 per cento. A Prato nel 1630 l’ospedale della Misericordia aveva in cura 128 fanciulle, 54 fanciulli e 98 infanti , l’1,6 per cento della popolazione totale. Inoltre va anche considerato che le cifre di cui sopra si riferiscono in larga misura ai trovatelli sopravvissuti. Secondo una stima veneziana del XVI secolo, l’80 – 95 per cento dei trovatelli moriva entro il primo anno.


Anche le condizioni di lavoro di uomini, donne e fanciulli erano terribili.
A pagina 87 si legge: In genere si descrive a tinte fosche il lavoro dei fanciulli come qualcosa di tipico della Rivoluzione Industriale. La verità è che nelle società pre-industriali i fanciulli furono impiegati altrettanto largamente e inumanamente”.
A pag. 88 - Una grida lombarda del 1590 a proposito della coltura del riso denunciò che a tempo che si mondano i risi o si fanno intorno ad essi altre opere alcuni chiamati capi de risaroli procurano in più modi unire quantità de figlioli e garzoni con quali usano barbare crudeltà perché, ridotti con promesse o lusinghe al luogo destinato, li trattano molto male non pagando e non provedendo a quelle meschine creature del vitto necessario, e facendo fatticare come schiavi con battiture e con asprezze maggiore di quella che s’usa con i condannati al remo di modo che molti anco ben nati se ne muoiono miseramente nelle casine e nei campi circonvicini”.


Al di là di queste forme abiette di sfruttamento, molti lavori artigianali avevano conseguenze funeste per la salute. Dal libro De Morbis artificun diatriba del medico modenese Bernardino Ramazzini (fine ‘600 e inizio ‘700), a pag. 157 si legge:
Minatori. Qualunque sia la natura del materiale di scavo finiscono sempre con l’accusare malattie gravissime, ribelli a tutti i rimedi …
Doratori. Nessuno ignora le terribili malattie che incolgono gli orafi che della doratura dell’argento e del rame. Poiché questa operazione si compie solo amalgamando oro e mercurio e volatilizzando poi il mercurio al fuoco, per quante cautele prendano questi operai, anche di voltar altrove il viso, non possono evitare di accogliere attraverso la bocca i vapori velenosi …
Vasai. Per verniciare le stoviglie hanno bisogno di piombo bruciato e polverizzato … e dopo breve tempo ne risentono gravissime malattie …
Vetrai. Più gravi sono i mali di quelli che fabbricano i vetri colorati per i braccialetti e gli ornamenti delle donne del popolo e altri usi. Per colorare il cristallo devono adoperare il borace calcinato e l’antimonio unito a una certa quantità di oro … Accade che spesso alcuni cadano a terra esanimi e soffrano di soffocazioni o con l’andar del tempo abbiano la bocca, l’esofago, la trachea coperti di piaghe e che finiscano coi polmoni ulcerati a far parte della famiglia dei tisici, come appare chiaro dalle autopsie …


Ma anche le donne, sempre secondo il medico Ramazzini, erano spesso impiegate in lavori pesanti e insalubri.
A pag. 88 si legge: “in autunno c’è la consuetudine di mettere a macerare negli stagni la canapa e il lino, compito che spetta soprattutto alle donne, le quali devono immergersi nell’acqua dei pantani e dei maceri fino alla cintola per tirarne fuori i fasci di canapa e lavarli. Non poche dopo questo lavoro sono prese dalla febbre e muoiono.


E si potrebbe continuare a lungo. Il numero degli omicidi era 10 o 20 volte superiore a quello dei giorni nostri. Le guerre, con il loro carico di devastazioni, erano ricorrenti. La grande massa dei contadini era in uno stato di schiavitù di fatto. La lunghezza media della vita si aggirava intorno ai 24 anni. Altre fonti parlano di 30 anni. Ma, al di là dell’esatta quantificazione di questo dato, non ci possono essere dubbi che nei secoli e nei millenni passati le condizioni fossero quelle di una miseria assoluta. A questo punto diventa inevitabile il confronto col mondo di oggi.


La vita oggi: mai così bene
Per conoscere il livello di vita raggiunto dalla popolazione mondiale c’è un altro libro importante da segnalare. FACTFULNESS di Hans Rosling (1948 – 2017), pubblicato dall’Editore Rizzoli, presenta sotto forma di grafici di facile lettura i dati sullo sviluppo dell’ultimo mezzo secolo. L’autore, morto poco dopo avere completato questo lavoro, era uno dei principali accademici svedesi. Un medico – eroe che più volte è volato in Africa per tamponare delle epidemie di Ebola. Era anche un esperto di statistica e ha trasformato le tabelle di dati numerici dell’ONU in grafici.
Questi dati dimostrano che negli ultimi 50 anni tutti gli indicatori globali dello sviluppo hanno conosciuto uno straordinario miglioramento. Quello più significativo, che ne riassume molti altri, è il dato dell’aspettativa di vita. Nei paesi più sviluppati oggi è di circa 81 anni, in Italia di 82, nel resto del mondo di 71, mentre la media mondiale in questo momento dovrebbe essere di 74 anni.
Ad avere sconfitto la miseria assoluta di tutte le altre epoche è senza dubbio la società moderna. Prima nei paesi “occidentali” e adesso nel resto del mondo.
Ma però molti sono ancora fermi a 50 anni fa, quando il mondo era nettamente diviso tra un piccolo gruppo di paesi ricchi e la grande maggioranza della popolazione mondiale, che si trovava ancora in uno stato di grande povertà. Ma i dati dell’ONU dimostrano che nell’ultimo mezzo secolo i paesi poveri hanno conosciuto una fortissima crescita e stanno a poco a poco raggiungendo quelli più sviluppati.
Mezzo secolo fa la Cina, l’India e la Corea del Sud erano, da molti punti di vista, molto più indietro dell’Africa sub sahariana, e si riteneva che il destino dell’Asia sarebbe stato identico a quello cui l’Africa pareva condannata: “Non riusciranno mai a sfamare quattro miliardi di persone”. Eppure questi paesi hanno già raggiunto o stanno raggiungendo quelli più sviluppati.
Ma adesso la crescita rapida (superiore al 5 per cento annuo) si è estesa anche a diversi paesi africani, che vanno dal Ghana, alla Nigeria, al Kenia e all’Etiopia, fino a ieri fra i più poveri al mondo. Prima di loro la crescita aveva interessato i paesi del Centro e Sud America, dell’ex Unione sovietica, dell’estremo Oriente e del mondo islamico.
Tra i dati globali più significativi riportati da FACTFULNESS c’è quello della percentuale della popolazione mondiale che vive in condizioni di povertà estrema, cioè con un reddito inferiore a 2 dollari al giorno. Nell’anno 1800 era l’85 per cento, nel 1966 era ancora il 50 per cento, nel 1997 era il 29 per cento mentre nel 2017, solo 20 anni dopo, era crollata al 9 per cento.
Ma oltre al reddito sono migliorati in misura analoga tutti gli altri indicatori dello sviluppo: speranza di vita, sopravvivenza alla nascita, accesso a cure mediche, istruzione, acqua potabile, elettricità ecc.
Per esempio nel 1950 15 neonati su 100 morivano prima di compiere un anno. Nel 2016 questa percentuale si era ridotta al 3 per cento. La percentuale dei bambini di un anno che hanno ricevuto almeno una vaccinazione è passata dal 22 per cento del 1980 all’88 per cento del 2016.
Altri dati significativi. Le rese cerealicole sono passate da 1,4 tonnellate per ettaro nel 1961 a 4 tonnellate nel 2014. Il tasso di scolarizzazione delle bambine è passato dal 65 per cento del 1965 al 90 per cento del 2015. L’accesso all’elettricità è passato dal 72 per cento del 1991 all’85 per cento del 2015. L’accesso all’acqua da fonte protetta è passato dal 58 per cento del 1980 all’88 per cento del 2015.


Un miglioramento spettacolare
Ma forse il miglioramento più spettacolare è quello demografico. La crescita demografica, che è esponenziale, rende la povertà inevitabile perché diminuisce sempre di più la disponibilità dei beni pro capite. In tutte le altre epoche storiche il tasso di crescita demografica era di circa il 6 per cento l’anno. Ma con il passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale la crescita economica ha sorpassato quella demografica. E man mano che la povertà diminuiva e venivano soddisfatti i bisogni fondamentali, cominciava a diminuire la natalità.
In questa fase, però, diminuisce prima la mortalità e solo in un secondo tempo la natalità. Questo determina un temporaneo, forte aumento della popolazione, conosciuto come transizione demografica. Questa crescita, però, è presto seguita dal raggiungimento dell’equilibrio demografico.
La transizione demografica è avvenuta prima nei paesi europei o occidentali, perché sono stati loro ad inventare la società moderna. Ma dopo la fine del maoismo in Cina e del comunismo in Russia, tutti hanno capito cosa bisogna fare per sconfiggere la povertà. E da allora lo stanno facendo, e una delle conseguenze è che la natalità è crollata anche a livello mondiale.
Dal 1965 a 2017 il numero medio di figli per donna è passato da 5 a 2,5. E sono ormai 25 anni che, in media mondiale, il numero di nuovi nati si è stabilizzato, come si può vedere nel grafico di pag. 97. Anche se, in termini assoluti, la popolazione continuerà ad aumentare ancora per qualche decina d’anni. Ma a crescere di numero saranno le classi di età adulte, mentre il numero di bambini che nascono ogni anno non aumenta più dalla metà degli anni Novanta.
I dati sullo sviluppo degli ultimi decenni sono stati riassunti nei due grafici a bolle delle pagine 35 e 36. Il primo rappresenta la situazione nell’anno 1965. Qui i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo sono separati da un grande divario: da una parte, in alto a destra, ci sono i paesi ricchi e dall’altra, molto più indietro e più in basso, quelli poveri.
Nel secondo grafico, che rappresenta la situazione nell’anno 2017, l’85 per cento dell’umanità si trova già nella casella che un tempo si chiamava “Mondo sviluppato”. E solo il 6 per cento della popolazione mondiale è ancora all’interno della casella “in via di sviluppo”, ma ne sta velocemente uscendo.
Quindi non si possono mettere in dubbio né la miseria assoluta di tutte le altre epoche, né il forte arretramento della povertà prima nei paesi occidentali e poi nel resto del mondo. Al ritmo del 6 per cento annuo con cui stanno crescendo molti paesi emergenti, il volume dell’economia raddoppia ogni 12 anni. Quindi nei prossimi 24 anni ci saranno altri due raddoppi: a cosa si sarà ridotta allora la povertà, che già oggi è così diminuita?
Ma la domanda che dobbiamo porci adesso è: cosa ha prodotto questo miracolo, questo straordinario arretramento della povertà? Non c’è dubbio, il merito è della società moderna. Cioè della rivoluzione scientifica e tecnologica, dell’economia di mercato e della libertà. La società in cui viviamo deve quindi essere considerata l’unico modello sostenibile sul piano sociale, perché è la povertà l’unico vero problema sociale.