IL MALE E IL BENE
Il MALE
Il dato storico più importante, ma che forse la scuola italiana ancora non insegna, è quello della povertà assoluta di tutte le altre epoche. Basti dire che fino a 200 / 250 anni fa l’aspettativa di vita nel mondo era di soli 24 anni. C’erano periodi in cui si stava un po’ meglio, a cui seguivano guerre, carestie ed epidemie che facevano di nuovo aumentare la mortalità.
A titolo di confronto oggi in Italia la speranza di vita è di 82 anni. Quella dei paesi più sviluppati è di 81, nel resto del mondo di 71, mentre la media mondiale, sempre secondo i dati dell’ONU, è di 74 anni. La gente di oggi non può nemmeno immaginare come fosse dura la vita in epoche in cui si viveva in media 24 anni!
Bisogna tenere conto però anche dell’altissima mortalità infantile. Prima dei vaccini, degli antibiotici e delle misure di igieniche pubblica, il 40 / 45 % dei bambini moriva prima dei 5 anni. E i superstiti potevano sperare di vivere, in media, solo 33, 34 o 35 anni: meno della metà della media mondiale di oggi. In ogni caso, per un confronto omogeneo, bisogna tenere conto anche della mortalità infantile.
Una povertà che non era solo economica, ma che si portava dietro tante altre disgrazie: fame, malattie, violenza, ignoranza e ingiustizie sociali infinite. Una miseria assoluta dalla quale stiamo scappando da secoli. Questo è il MALE.
Il BENE messo sotto accusa
E se la povertà è il male, il suo opposto e tutto quello che la fa diminuire, è il BENE.
Il merito di avere triplicato la lunghezza media della vita, cosa che implica un enorme miglioramento della sua qualità, è della società moderna. Cioè della rivoluzione scientifica e tecnologica, dell’economia di mercato e della libertà (vedi l’articolo POLITICA E AMBIENTE). Anche se, ad un livello più profondo, questo risultato lo dobbiamo al razionalismo e all’umanesimo universale (vedi l’art. DIECI).
Quindi il bene sono la crescita economica, lo sviluppo, le tecnologie che risolvono dei problemi e l’alto livello di benessere che abbiamo raggiunto. Però proprio queste grandi conquiste sono state messe sotto accusa, perché esse costituirebbero un’ingiustizia verso chi è rimasto indietro e perché non sarebbero sostenibili sul piano ambientale.
In particolare con il pretesto della “lotta contro il cambiamento climatico” sono state condannate, ostacolate o impedite “tutte” le tecnologie e le fonti energetiche in grado di produrre dell’energia in una forma utilizzabile. Cioè le centrali nucleari, il gas naturale, le centrali a turbogas e l’energia idroelettrica. In cambio sono state imposte con leggi ad hoc che stravolgono il mercato, e che nessuno ha cercato di impedire, le costosissime “energie alternative”, che però non sono in grado di sostituire le normali centrali elettriche e tanto meno quindi di diminuire le emissioni di anidride carbonica.
Le centrali nucleari
Con le centrali nucleari potremmo produrre tutta l’energia di cui abbiamo bisogno in maniera quasi miracolosa, cioè senza bruciare combustibili. Inoltre questa tecnologia ha alle spalle 70 anni di esperienza ed è oggi una delle attività industriali più sicure che esistano.
Se escludiamo Chernobyl e l’Unione Sovietica, dove la sicurezza non era la principale preoccupazione, l’altro disastro, quello di Fukushima, paradossalmente dimostra quanto in realtà le centrali nucleari sono sicure. Infatti quelle giapponesi erano quattro piccole unità obsolete e che stavano per essere chiuse. Colpite da uno dei terremoti più violenti mai registrati, si erano regolarmente spente come dovevano fare e le pompe di raffreddamento continuavano a funzionare. Poi però è arrivato lo tsunami che ha scavalcato il muro di recinzione e ha allagato tutto.
Ma sono pochi i posti al mondo che possono essere colpiti da terremoti e tsunami così violenti. Inoltre, se queste centrali fossero state costruite solo qualche anno dopo, avrebbero avuto una spessa cupola di cemento armato e pompe multiple di raffreddamento e non sarebbe successo nulla.
Per quanto riguarda la sicurezza oggi c’è un altro dato importante da segnalare. Grazie alle ricerche fatte a Chernobyl nelle aree contaminate, oggi sappiamo che alcuni antiossidanti, principi nutritivi che si trovano nella frutta e nella verdura colorata, sono molto efficaci nel difenderci dai danni della radioattività (una scoperta che deve essere messa in relazione con le conclusioni dello STUDIO CINA, secondo il quale per ridurre il rischio delle malattie più diffuse tra cui il cancro, dovremmo diminuire il consumo delle proteine animali e dei cibi spazzatura e aumentare invece quello della frutta e della verdura).
Anche le scorie radioattive non costituiscono più un problema, perché oggi esse sono considerate un combustibile esausto che viene riprocessato per essere a poco a poco consumato in nuovi cicli di combustione. E ci sono al mondo in altrettanti paesi almeno sette impianti per il riprocessamento del combustibile nucleare.
Infine, con quello che sappiamo fare oggi, di combustibile nucleare ce n’è per qualche milione di anni; pertanto anche l’energia nucleare può essere considerata rinnovabile (vedi l’articolo ENERGIA NUCLEARE PULITA E SICURA).
Le altre soluzioni al problema dell’energia
Dopo il nucleare vengono l’energia idroelettrica (dove ci sono le condizioni), che è pulita e non produce anidride carbonica, e la combinazione gas naturale – centrali a turbogas.
I giacimenti di gas, compresi quelli contenuti nelle rocce argillose (shale gas) che oggi possono essere sfruttati, sono molto più estesi di quelli di petrolio. Inoltre il gas naturale è molto più pulito e a parità di calorie produce il 60% in meno di anidride carbonica rispetto al carbone e un terzo in meno rispetto alla nafta. Infine esso viene bruciato nelle centrali a turbogas che hanno un rendimento molto più alto delle centrali convenzionali. Questo significa che per produrre la stessa quantità di energia elettrica di metano ne serve molto meno.
Di conseguenza quando paesi come la Cina e l’India, che hanno centinaia di centrali a carbone a bassissima efficienza e molto inquinanti, cominceranno ad estrarre lo shale gas presente nel loro territorio e a sostituire i loro impianti obsoleti con le molto più efficienti centrali a turbogas, faranno crollare le loro emissioni di anidride carbonica dell’80 / 90%. In più gratis azzereranno l’inquinamento e molti altri problemi ambientali.
Ecco il modo più veloce ed economico per diminuire i gas serra! Ma anche per diminuire gli aerosol carboniosi, che pure potrebbero influenzare il clima. In ogni caso anche i paesi più sviluppati stanno facendo la loro parte. Infatti sono stati loro ad inventare le superefficienti centrali a turbogas, a mettere a punto la tecnologia per sfruttare lo shale gas e infine ad inventare le auto elettriche, che nei prossimi 10 / 15 anni faranno crollare il consumo di petrolio e di materie prime metalliche, in tutto il mondo.
Quindi per il problema delle emissioni dei gas serra e più in generale per i problemi ambientali causati dal consumo di energia, ci sono già adesso tutte le soluzioni che possiamo desiderare. E sono soluzioni vere, praticabili, convenienti dal punto di vista economico e già pronte. Soluzioni che però sono state condannate, ostacolate o impedite con la pretesa di sostituirle con eolico e fotovoltaico, che producono solo piccole quantità di energia utilizzabile a costi esorbitanti.
La follia delle energia alternative
In Italia intere regioni sono state ricoperte di impianti eolici. Nel Nord della Puglia, per esempio, ce ne sono a centinaia, ma la metà sono perennemente fermi perché sono riparati dai venti prevalenti dalla catena degli Appennini. Inoltre i due terzi di questa energia vengono prodotti di notte e nei giorni festivi, quando la domanda di energia elettrica crolla. Si tratta quindi di energia che non può essere utilizzata, perché sarebbe troppo costoso accumularla nelle batterie. E le leggi dello Stato che costringono le società elettriche a comprarla, non la rendono per questo più utile.
Di questa energia gli operatori del settore non sanno cosa farsene, subiscono un danno, e si rifanno aumentando le bollette delle famiglie, che ogni anno pagano per questo 10 miliardi di Euro in più. Ai costi economici bisogna poi aggiungere il deturpamento del paesaggio di intere regioni.
Ma anche la poca energia prodotta di giorno nei giorni lavorativi è di scarsa utilità, perché non si possono prevedere le variazioni di intensità del vento. Per garantire la continuità della produzione sono state aggiunte delle piccole centrali a gas, che sono solo un costo in più. Infatti se le centrali elettriche sono piccole, in modo che possano essere accese senza preavviso, la loro efficienza deve essere molto bassa, non superiore al 30%. Questo mentre a Torino, dove viene sfruttata anche l’acqua di raffreddamento delle due centrali a turbogas per scaldare case e uffici in inverno, il rendimento complessivo in media d’anno è almeno del 75%.
Quindi la poca energia elettrica utilizzabile prodotta dalle pale eoliche, nonostante i suoi costi, dà un contributo risibile alla produzione energetica nazionale e alla diminuzione dei gas serra. Pertanto sarebbe auspicabile un’indagine parlamentare per accertare da una parte i costi, compreso il sovrapprezzo sulle bollette pagato dalle famiglie, e dall’altra il valore dell’energia realmente utilizzabile.
Il costo complessivo, diretto e indiretto, delle energie alternative può essere stimato in circa 200 / 250 miliardi; costo che va ad aggiungersi all’impoverimento del sistema Paese causato dalla nostra forte dipendenza dalle importazioni di energia, a sua volta causata dal blocco prolungato dell’estrazione del gas sul suolo nazionale (vedi l’articolo LE PALE EOLICHE SONO NATURALI?). E’ proprio questa politica energetica assurda la causa della crisi economica, che in Italia negli ultimi dodici anni ha raddoppiato la disoccupazione e aggravato ogni altro problema. Un costo colossale, economico umano e ambientale, in cambio di nulla!
Ma se le energie alternative sono così costose e non in grado di diminuire i gas serra, qual è la vera ragione di questa politica? L’unica possibile spiegazione è che questo è il modo più efficace di punire la cattiva società capitalista, considerata per ragioni ideologiche la causa di ogni nequizia. Quando invece la società moderna, come si è visto sopra, è l’unica soluzione dei problemi sociali (perché è l’unica in grado di sconfiggere la povertà) e, dopo la crescita che porta al benessere, anche l’unica vera soluzione dei problemi ambientali.
Le vere soluzioni dei problemi sociali e ambientali
Che la società moderna sia l’unica vera soluzione anche dei problemi ambientali lo dimostrano i paesi più sviluppati che sono oggi, da ogni punto di vista, molto più sostenibili di mezzo secolo fa. Più sostenibili anche delle società poverissime del passato, che avevano sterminato la fauna selvatica e ridotto al minimo la superficie dei boschi.
Quanto ai paesi emergenti, essi stanno percorrendo la stessa strada di quelli più sviluppati con solo qualche decennio di ritardo. Per alcuni aspetti il loro impatto ambientale sta ancora aumentando, ma per altri sta già diminuendo. E in quelli più avanzati la pressione ambientale complessiva è già in diminuzione.
Però la società moderna ha le soluzioni anche per i principali problemi di oggi, che sono quelli della produzione del cibo e dell’energia, sia nei paesi più sviluppati che nel resto del mondo.
La più grande area di povertà del pianeta è l’Africa a Sud del Sahara, anche se molti Paesi di questa regione, dall’Etiopia, al Kenya alla Nigeria, stanno crescendo da anni a ritmo sostenuto. Ma per alimentare la loro crescita essi hanno bisogno di energia e di energia in una forma affidabile. La soluzione potrebbe essere il progetto Grande Inga: una serie di dighe sugli affluenti del fiume Congo, che potrebbero produrre 60.000 MW di energia elettrica, sufficienti per tutta l’Africa centrale.
Però, come si può leggere nel libro “L’apocalisse può attendere” di M. Shellenberger nel capitolo “Energia negata”, le ONG verdi sono riuscite a convincere l’Europa, l’America e l’ONU a bloccare i finanziamenti a questi e altri progetti di sviluppo per imporre ai paesi più poveri e ricattabili la legna da ardere perché considerata “naturale”. Legna che viene ottenuta tagliando gli alberi della foresta anche all’interno dei parchi naturali. Ma sono proprio gli abitanti della zona a chiedere “dell’energia vera”, che invece viene loro negata.
Questa politica anti sviluppo, a cui è stato dato il nome ingannevole di “sviluppo sostenibile”, ha già causato danni infiniti ai paesi più poveri. Una politica ancora più assurda considerato che i paesi ricchi sono diventati tali proprio grazie a delle fonti di energia affidabili. Per fortuna quasi tutti i paesi emergenti, che sono la grande maggioranza della popolazione mondiale, non sono più ricattabili e stanno crescendo da anni a ritmo sostenuto.
Costringere i paesi più poveri ad usare solo delle fonti di energia biologiche o naturali, è un grandissimo errore per non dire di peggio. Progetti come la Grande Inga dovrebbero essere non solo sostenuti, ma se necessario anche finanziati. Una strategia che dovrebbe risultare conveniente per gli stessi paesi finanziatori, perché è proprio lo sviluppo la condizione per la sicurezza, la pace e la stabilità. Molto più conveniente, per esempio, dei costosissimi interventi militari per riportare la pace.
Ma questa politica anti sviluppo sta provocando gravi danni anche nei paesi più ricchi. La sola Italia negli ultimi 15 anni ha buttato centinaia di miliardi per eolico e fotovoltaico (con i quali avremmo potuto raggiungere l’indipendenza energetica, evitare la crisi economica e far crollare le nostre emissioni di gas serra). E adesso l’Europa ci spinge a buttare altre preziose risorse per questa follia. Ma se invece le risparmiassimo e ne spendessimo una piccola parte per qualcosa di utile? Per esempio per finanziare la costruzione di qualche diga all’interno del progetto Grande Inga?
In Africa c’è un altro grande progetto che procede a rilento: la GRANDE MURAGLIA VERDE del Sahel”. Il Sahel è una regione di diversi milioni di chilometri quadrati, spogliata e isterilita da secoli di sfruttamento eccessivo. Ma non è ancora deserto: lì piove regolarmente ogni anno. E anche questa regione è una delle più povere del pianeta, che dovrebbe interessare all’Europa perché è da lì che parte l’immigrazione. Lì si potrebbero creare milioni di occasioni di vita e di lavoro. Inoltre gli alberi crescendo sottraggono anidride carbonica all’atmosfera. Ecco la decarbonizzazione intelligente! Molto più intelligente delle pale eoliche in Puglia o degli impianti fotovoltaici nella Pianura Padana, dove i tre quarti dei giorni dell’anno sono di copertura nuvolosa!
Per completare il discorso su quello che possiamo fare per risolvere i principali problemi di oggi, bisogna segnalare le proposte per diminuire l’impatto delle attività agricole e per alleggerire la pressione della pesca sui mari e gli oceani.
Nei paesi più sviluppati la gente consuma in media il doppio di proteine animali rispetto al proprio fabbisogno. E anche i paesi emergenti, man mano che crescono, stanno aumentando questi consumi. Ma ricerche come lo STUDIO CINA, già citato a proposito dei danni della radioattività, hanno dimostrato che un eccesso di proteine animali aumenta il rischio delle cosiddette malattie del benessere, che sono quelle più gravi e diffuse. Nello stesso tempo la produzione delle proteine animali esercita un impatto ambientale da 5 a 10 volte superiore rispetto ai vegetali. Pertanto, semplicemente informando il pubblico su quello che bisogna fare per prevenire le malattie più diffuse, faremmo crollare l’impatto ambientale di agricoltura e allevamento!
C’è anche una proposta per una produzione di carne alternativa a quella dei bovini per i paesi della fascia tropicale ricchi di foreste, paludi e corsi d’acqua, ma poveri o privi di terreni da pascolo. Come sono quelli dell’Africa occidentale, dove ancora oggi il fabbisogno di proteine viene soddisfatto cacciando gli animali della foresta (vedi il paragrafo “Carne a basso costo e a basso impatto ambientale” nell’art. PROPOSTE PER L’ECONOMIA).
Infine oggi c’è una soluzione anche per l’eccessiva pressione della pesca marittima. E’ la cosiddetta “carne sintetica” che, dopo molte decine di anni di ricerca, adesso è pronta per affrontare il mercato. Con questa tecnica, moltiplicando delle cellule staminali in coltura, si possono ottenere carne, pesce e molluschi. L’interesse maggiore è per il pesce, perché potremmo alleggerire la pressione della pesca sugli ecosistemi marini per consentire alle popolazioni ittiche di riprendersi.
E’ molto importante che la carne sintetica raggiunga i banchi di vendita dei supermercati, perché poi sarà il mercato stesso a creare le risorse economiche necessarie per migliorare sempre di più la qualità di questi prodotti.
La trappola maltusiana della povertà
La natura è un valore da salvaguardare. Noi stessi ne facciamo parte; da lì proveniamo e lì ci siamo evoluti fino diventare umani. Per questo ci sentiamo in profonda sintonia con l’ambiente naturale e con tutto mondo vivente. Per questo la natura la sentiamo buona, bella e appagante. La sua conservazione è indispensabile per la nostra stessa esistenza.
Ma la natura è anche crudele al di là di ogni immaginazione. A renderla tale è la trappola maltusiana della povertà, cioè la crescita demografica esponenziale che è il motore dell’evoluzione. Non ci vuol molto per rendersene conto. Ce lo mostrano ogni giorno, per esempio, i documentari naturalistici. La lotta quotidiana per la vita è davvero crudele e spietata. La regola è che gli animali si divorino vivi l’un l’altro, o che soffrano periodicamente la fame o che si uccidano tra di loro.
E la crudeltà della selezione naturale è anche la nostra eredità ancestrale. Nella preistoria le tribù erano in continua guerra l’una contro l’altra per difendere ed espandere il proprio territorio, il proprio spazio vitale (vedi per esempio l’articolo “LO SCAMBIO CI RENDE UNICI”).
Poi, con il passaggio dalla preistoria alla storia, molte cose sono cambiate. L’umanità da nomade è diventata stanziale, la popolazione è molto aumentata, sono comparsi gli Stati e le città. Ma la trappola della povertà, la fabbrica maltusiana della povertà e di tutte le altre ingiustizie, è rimasta immutata. Dalle scaramucce tra bande rivali si è passati alle guerre. La povertà e la violenza non sono affatto diminuite. Ed è proprio questa nostra eredità, della preistoria e di tutte le altre epoche storiche, che possiamo definire il MALE. Male che solo oggi, grazie alla società moderna, stiamo debellando, prima nei paesi più sviluppati e poi nel resto del mondo.
Sono i dati dell’ONU a dirci che anche il resto del mondo sta uscendo dalla povertà (nonostante le sue stesse politiche anti sviluppo!). Infatti negli ultimi 50 anni tutti gli indicatori globali hanno conosciuto uno straordinario miglioramento: reddito, speranza di vita, sopravvivenza alla nascita, accesso a istruzione, cure mediche, acqua potabile, elettricità ecc. Risultati straordinari di cui dovremmo andare fieri, non il contrario.
E sempre grazie a questa crescita stiamo raggiungendo anche un altro grande traguardo: l’equilibrio demografico su scala mondiale. Infatti sono sempre i dati dell’ONU a dirci che da 25 anni il numero di nuovi nati si è stabilizzato, cioè che non aumenta più. E’ la prima volta nella storia della vita che una specie sfugge alla trappola demografica: un risultato epocale.
Combattere il MALE e praticare il BENE
La nostra capacità di giudicare cosa è il bene e cosa è il male è fondamentale. Purtroppo il giudizio sulla società moderna che ci viene propinato da molti media e da molti documentari naturalistici, è sempre negativo. Essi non fanno che ripeterci che le attività umane stanno distruggendo la natura e che l’uomo stesso con la sua sola presenza è il male.
Questo messaggio però non è solo sbagliato, ma anche pericoloso, perché potrebbe convincere qualcuno che bisogna tornare indietro, che bisogna rinunciare al progresso, al benessere, che bisogna tornare alla povertà di una volta.
Una volta, quando tutti i prodotti erano artigianali, non si sprecava nulla. Tutto veniva riaggiustato e riusato all’infinito. Non c’era il “consumismo”, perché erano ben pochi i beni che venivano consumati. Questo cosa significa? Che le società poverissime del passato erano sostenibili?
No, non erano sostenibili, perché l’impatto ambientale non dipende dai beni che produciamo e consumiamo, ma dalle risorse naturali che abbiamo usato per produrli. E le società del passato, a causa della bassissima produttività agricola e nonostante una popolazione molto più ridotta, esercitavano una pressione sull’ambiente maggiore di oggi!
Negli ultimi due secoli in Europa le rese per ettaro sono aumentate forse di trenta volte. Pertanto, anche se la popolazione è aumentata di sei o sette volte e consuma molto più cibo e di qualità migliore, abbiamo bisogno di meno terreno agricolo. E’ per questo che abbiamo restituito alla natura grandi estensioni di territorio nelle zone di montagna; è per questo che la superficie dei boschi è più che raddoppiata e che è tornata la fauna selvatica!
Ma questo discorso vale in generale: quello che conta è l’efficienza con cui usiamo le risorse naturali. E con il passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale è aumentata di decine di volte l’efficienza sia del lavoro umano che dell’uso delle risorse naturali. Per di più oggi la nostra economia è fatta per tre quarti di servizi, cioè di beni immateriali, che hanno bisogno di ben poche risorse primarie. Inoltre l’innovazione tecnologica è ben lontana dall’avere esaurito le sue possibilità. Per esempio nei prossimi 10 / 15 anni le auto elettriche faranno crollare i consumi di petrolio e di materie prime metalliche.
Per tutti questi motivi i paesi più sviluppati sono oggi molto più sostenibili delle società poverissime del passato, e sostenibili col tempo lo stanno diventando sempre di più, seguiti a ruota dai paesi emergenti.
La conclusione è che le società poverissime, affamate, ingiuste e violente del passato sono il MALE, mentre la società moderna è il BENE, perché essa è l’unico rimedio contro la povertà e anche l’unica vera soluzione dei problemi ambientali. Dobbiamo combattere il MALE e saper riconoscere ed esercitare il BENE.