Le Virtù Marinare della Repubblica
Il modello istituzionale dei Comuni italiani tra XII e XIV secolo è all’origine delle moderne garanzie nei confronti del potere. Cariche elettive, sovranità della legge, salvaguardia del popolo: elementi che solo secoli dopo si sarebbero diffusi in Europa, ripresi in Italia dal nostro Risorgimento.
Di Tullio Gregory
Quentin Skinner apriva il suo classico studio sui fondamenti del pensiero politico moderno con un capitolo, dal significativo titolo ” L’ideale di libertà”, dedicato all’esperienza politica e istituzionale dei Comuni italiani, fra XII e XIV secolo. Prendeva le mosse da una testimonianza di uno storico tedesco, Ottone di Frisinga, che verso la metà del XII secolo registrava una nuova forma di organizzazione sociale e politica che andava caratterizzando l’Italia settentrionale: ponendo fine al presupposto corrente secondo il quale le monarchie ereditarie costituivano l’unica valida forma di governo, le città erano diventate “così desiderose di libertà” da trasformarsi in repubbliche indipendenti governate “dalla volontà dei consoli piuttosto che dei monarchi”; consoli “cambiati quasi tutti gli anni” per porre freno a una loro eventuale “brama di potere”, così da garantire la libertà del popolo.
Seguiva un’altra emblematica testimonianza di un cronista che, narrando dei negoziati fra i Comuni, l’Imperatore e il Papa dopo la sconfitta inflitta al Barbarossa dalla Lega Lombarda, ricordava il discorso dei legati di Ferrara “sull’onore e la libertà d’Italia”: i cittadini del Regnum Italicum avrebbero preferito “incontrare una morte gloriosa da liberi, piuttosto che vivere miseramente come servi”.
Con queste parole, commentava Skinner, i legati di Ferrara, appellandosi all’ideale di libertà, avevano in mente due concetti principali: l’indipendenza dall’Imperatore e il diritto di conservare le forme di governo che le città si erano date, per non “rinunciare a quella libertà ereditata dagli antenati”.
Riprendendo questi temi, nella sua relazione a un recente incontro di studio su “La sapienza giuridica delle Repubbliche italiane”, Skinner sottolineava l’importanza che l’esperienza politica dei liberi Comuni italiani ha assunto nel pensiero repubblicano inglese del Seicento e più ampiamente nella lotta contro il potere monarchico in età moderna; due soprattutto i motivi che ebbero più larga fortuna: il concetto di libertà politica e le forme di governo atte a garantirla.
L’incontro di studio cui si è fatto cenno si è tenuto alla Scuola Normale Superiore di Pisa il 25/26 maggio scorso: ha visto riuniti studiosi di storia del diritto e delle istituzioni, storici delle dottrine politiche, per analizzare – con esiti di grande rilievo – alcuni degli aspetti dell’esperienza delle Repubbliche italiane, soprattutto fra Duecento e Trecento.
Pur sottolineando la molteplicità delle strutture politiche e degli ordinamenti comunali, rifiutando quindi la riduzione di un complesso e variegato fenomeno storico entro astratti modelli unificanti, le relazioni hanno messo in evidenza il carattere fortemente innovativo dei concetti giuridici, delle strutture e delle prassi istituzionali delle Repubbliche del Regnum Italicum: il primato della legge, espressione della volontà popolare (pur con tutte le limitazioni che la definizione di popolo comportava nell’organizzazione fortemente gerarchizzata delle società medioevali), il principio di rappresentanza – con i complessi sistemi di selezione (elezione, sorteggio) e di controllo della classe politica – la nozione di civis in rapporto alla civitas nella quale il cittadino si inserisce organicamente, l’elaborazione di un diritto penale e l’esercizio della giustizia come legittimazione dell’autorità delle città al fine di realizzare il “bene comune”; il discusso inizio di un diritto internazionale (con accordi su base pattizia), la posizione dello straniero e la sua equiparazione al cittadino soprattutto nei diritti relativi ai rapporti commerciali.
Al di là dunque dell’irriducibile diversità delle varie realtà storiche rappresentate dalle Repubbliche (da Pisa a Genova e Venezia), quindi della diversità dei rispettivi ordinamenti, tutte le relazioni hanno confermato l’eccezionalità delle strtture e dei sistemi politici comunali alla fine del Medioevo, che hanno rotto, anzitutto nella prassi, tradizioni e teorie politiche legate al primato dell’Impero e del Papato, ricercandone poi i fondamenti nel diritto romano e nella Politica di Aristotele, con interpretazioni fortemente innovative. Da questo punto di vista assume particolare valore l’esegesi del concetto di princeps in Bartolo da Sassoferrato che applica ai Comuni un concetto sempre riferito all’Imperatore, riconoscendo alla città il diritto di essere sibi princeps, imperatore di se stessa. D’altra parte, proprio muovendo dall’esperienza politica dei Comuni, Marsilio da Padova offrirà gli strumenti teorici per una definizione della legge come creazione dell’universitas civium (“causa della legge”), e del governante come espressione della totalità dei cittadini, cui spetta eleggerlo e controllarne gli atti. Peraltro lo stesso Marsilio indicava ai Comuni i fondamenti filosofici per rivendicare la propria autonomia, anzi supremazia, rispetto alle pretese politiche della Chiesa.
Della complessa esperienza delle Repubbliche forse Baldo degli Ubaldi – come è stato ricordato nel corso dell’incontro – coglieva l’elemento saliente quando affermava che il dux – nel caso specifico il doge di Genova – è “creato” dalla civitas: chi detiene il potere non è dunque superiore alla legge, ma è sottoposto alla civitas e alle leggi che la comunità dei cittadini “crea”. Il potere non ha origine divina o ereditaria, ma trae la sua legittimazione dall’universitas civium.
Non a caso Quentin Skinner ricordava, tra gli altri testi politici inglesi dei Seicento, una pagina di Henry Parker: “Guardiamo ai veneziani e alle altre nazioni libere, e chiediamoci perchè essi sono così sospettosi nei confronti dei loro principi. Sono sospettosi perchè temono la forza della monarchia che deriva dal potere che i re hanno di affidarsi alla propria volontà, con disprezzo dei pubblici consigli e delle leggi. Il sospetto dei veneziani nasce dalla loro consapevolezza che sotto una vera monarchia essi sarebbero ridotti in servitù. E’ per paura di questa servitù che essi preferiscono i loro dogi elettivi piuttosto che il governo di re ereditari”. In nome di questa esperienza, Parker difendeva i diritti e la sovranità del Parlamento inglese.
Peraltro, il recupero dell’esempio – anche del mito – delle libere Repubbliche medioevali caratterizza larga parte del pensiero politico del Risorgimento italiano. Basterebbe ricordare il classico saggio La città considerata come principio delle istorie italiane di Carlo Cattaneo: sulla scorta di Giuseppe Ferrari, Cattaneo evocava la testimonianza di una cronaca bolognese nella quale si leggeva che “nel 1236 furono liberati tutti i contadini; e il popolo di Bologa li comperò a denari contanti; e decretò sotto pena della vita che non si avesse a tener più alcuno per fedele (cioè schiavo); e il comune riscattò i servi e le serve del contado; e i signori conservarono i loro beni”. Annotava Cattaneo: “Chi faccia ragione di sei secoli d’intervallo, dovrà dire che questo fatto supera al paragone anche quel glorioso decreto, col quale il Parlamento britannico consacrò cinquecento milioni di franchi a redimere tutti i Negri delle sue colonie”. Proseguiva ricordando, fra le altre esperienze politiche delle libere città, come “dalle consuetudini dei naviganti e degli artefici si svolse il nuovo diritto commerciale marittimo… e così usciva dalle città un nuovo diritto delle genti”., mentre, rompendo tradizioni feudali, si aprivano, per iniziativa dei liberi Comuni, “generose irrigazioni” delle campagne: “Allora gli statuti diedero alle acque irrigatrici il diritto di libero passo, diritto che alcune delle più civili nazioni non sanno ancora oggidì conciliare con la nuda idea d’un’assoluta proprietà. Epperciò un ingegnere scozzese li chiamò con frase del suo paese la Magna charta dell’irrigazione”. Pagine queste che più recenti studi hanno precisato, anche modificato, senza tuttavia togliere a esse il loro valore.
Inserto del Sole24Ore – Domenica 2 giugno 2002